Bce: senza liquidità l’euro rischia
La Federal Reserve cambia politica monetaria e vede la ripresa. Ma l’economia Ue non cresce
Nel mondo c’è troppa liquidità e ce n’è troppo poca. Alcuni anni di «quantitative easing» da parte della Federal reserve e altre banche centrali, ma adesso anche da parte del Giappone, hanno inondato l’economia globale di denaro. È stata una mossa positiva, perché ha fornito gran parte di quel sostegno che la politica fiscale, impegnata nel consolidamento dei bilanci pubblici, non poteva fornire se non in minima parte. Ci sono stati però effetti collaterali. Con tanta liquidità a così basso costo i mercati hanno investito anche in attività rischiose, che hanno spesso dato vita a bolle speculative senza benefici per crescita e occupazione. La liquidità ultraabbondante non può continuare senza limiti. Da un certo punto in poi i benefici in termini di crescita saranno inferiori ai costi in termini di eccesso di rischio e fragilità finanziaria. È ragionevole che si cominci a pensare a un’exit strategy, nel momento in cui si manifestino segni di crescita sostenuta e disoccupazione calante. Questo è quanto ha annunciato la Federal reserve.
Ma i mercati stanno già anticipando questa fase e, in previsione di una minore disponibilità di liquidità, cominciano ad abbandonare asset ritenuti meno sicuri. Lo si comincia a vedere in Europa, dove gli spread dei paesi periferici della zona euro, Italia compresa, hanno ripreso a salire. Lo si comincia a vedere in alcuni paesi emergenti dove, dopo un periodo di forte afflusso di capitali, si rischia un’improvvisa inversione di tendenza. Ecco allora il paradosso: in un mondo inondato di liquidità questa rischia di essere scarsa, almeno in alcuni segmenti del mercato globale. Il paradosso non è mitigato dall’irrompere sulla scena della «Abenomics». La nuova immissione di liquidità indebolisce lo yen e favorisce la crescita del Giappone, però a spese di un euro che rimane (troppo) forte per un’economia ancora a crescita negativa.
Come se ne potrà uscire? Uno scenario benevolo prevede un’uscita graduale, che si accompagna a una ripresa della crescita e dell’occupazione. In questo quadro tassi di interesse gradualmente crescenti rifletterebbero aspettative di stabilizzazione del prodotto e un graduale aumento dell’inflazione. Uno scenario assai meno tranquillizzante vede invece un rialzo dei tassi molto più rapido, accompagnato da elevata instabilità e da forte incertezza sull’andamento futuro delle economie,
Evitare questo secondo scenario richiede una gestione molto cauta della fase di uscita da parte delle banche centrali, in primo luogo la Federal reserve. Ma richiede anche chiarezza sulle prospettive a lungo termine del debito pubblico, tanto negli Usa quanto in Giappone, dove ancora non è stato varato un programma credibile di consolidamento. La zona euro fa caso a sé. L’aumento degli spread di queste ultime settimane, se destinato a continuare, introduce un nuovo fattore di fragilità sistemica nella unione monetaria, ma di natura esterna piuttosto che interna. Fronteggiare questa fragilità richiederebbe una duplice azione: un rafforzamento delle politiche di aggiustamento strutturale per irrobustire la crescita e un ulteriore passo avanti della Bce verso misure volte a influenzare direttamente la liquidità. Insomma una versione europea del quantitative easing.