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Economia

Le criptovalute al di là del «caso Binance»

I mancati rimborsi, i problemi tecnici della grande società non devono cancellare le cose positive delle nuove monete (da maneggiare con estrema prudenza)

A parte i vari problemi con le autorità di vigilanza, come si è anticipato nella precedente puntata, Binance deve fronteggiare anche un nutrito gruppo di investitori che lamentano di non avere ricevuto il risarcimento promesso della piattaforma di trading e trovandosi quindi costretti ad avviare una richiesta di risarcimento per ricondurre Binance ad ottemperare al risarcimento promesso.

La prima parte dell'inchiesta su Binance

Quello che viene contestato a Binance in sostanza è che una serie di malfunzionamenti sulla piattaforma, in momenti di grande volatilità e quindi estremamente appetibili, avrebbero impedito a molti investitori di dare corso ad operazioni di investimento o di disinvestimento, nel momento in cui avrebbero voluto darvi corso, così pregiudicandone l'esito, e che questi malfunzionamenti, curiosamente, avrebbero colpito solo alcune particolari categorie di investitori e di operazioni, mentre su altre (sulle quali Binance avrebbe maturato maggiori profitti) la piattaforma funzionava perfettamente. Inoltre, si lamenta che Binance sulle operazioni "derivatives", sostanzialmente qualificabili come futures, e quindi come vere operazioni di investimento su strumenti finanziari, non avrebbe rispettato le rigorose disposizioni europee dettate dalla direttiva MiFID 2.

Su questa iniziativa Michele Ficara Manganelli, fondatore del Blockchain Swiss Consortium e l'Avv. Francesco Dagnino dello studio Lexia, che coordinano questa class action, hanno dichiarato: "Se Binance avesse mantenuto fede alla promessa di rimborso, dopo avere ammesso pubblicamente, in una nota ufficiale, il disservizio, garantendo una trasparente gestione della clientela, oggi potremmo nuovamente operare. Questa azione ha lo scopo di garantire condizioni di mercato trasparenti per gli investitori tutti".

Naturalmente, il terremoto scatenato dalle disavventure di Binance offre molti argomenti ai detrattori delle criptovalute e di tutto quel mondo che ruota intorno alla finanza basata sui cosiddetti cripto-asset.

Occorre, tuttavia, mantenere il sangue freddo per non rischiare di buttare via il bambino insieme con l'acqua sporca.

Non c'è dubbio che con il suo modus operandi Binance abbia sollevato il problema degli exchange di criptovalute che nella sostanza si comportano né più né meno come un qualunque intermediario finanziario, senza le tutele agli investitori imposte per gli operatori convenzionali.

Non bisogna dimenticare, però, che lo scopo originario per cui sono nate le criptovalute (bitcoin in testa) è quello di consentire trasferimenti di ricchezza in modo disintermediato, di consentire a chiunque di disporre delle proprie risorse finanziarie (primariamente quelle conseguite lecitamente) senza dover sottostare al controllo e all'oligopolio di banche e autorità pubbliche, il che, nelle intenzioni, va nella direzione della tutela di una serie di diritti fondamentali dell'individuo. Diritti fondamentali che oggi vengono costantemente erosi dall'invasività di regole giustificate usando la leva della paura di minacce enfatizzate a seconda delle necessità: il finanziamento del terrorismo, il riciclaggio dei proventi di crimini, l'evasione fiscale, e così via.
La tecnologia blockchain alla base di criptovalute, smart contract e altre applicazioni di rilievo, tuttavia, ha dimostrato un'utilità che non merita di essere mortificata dalle diffidenze di chi non ne coglie la portata.

Senza contare un dato con il quale governi ed intermediari finanziari non vogliono o non sanno come affrontare: esistono folle di investitori che scelgono di non affidarsi ad investimenti tradizionali, attraverso i canali convenzionali, perchè fruttano rendite risibili e talvolta, nonostante gli elefantiaci apparati di vigilanza, rischiano comunque di andare in fumo. La storia di casi come Parmalat, Banca Etruria, Montepaschi o Popolare di Bari, la dicono lunga.

Oggi, con un sistema di regole che impone il tracciamento di qualsiasi passaggio significativo di denaro, si è forzosamente costretti ad affidarsi ad intermediari bancari, ma affidare il proprio denaro ad una banca, che lo utilizzerà per farlo fruttare come meglio crede, non solo non porta alcun tipo di ritorno economico, ma nella maggior parte dei casi comporta addirittura una quantità di costi, sotto forma di canoni e commissioni.

Se queste folle di investitori preferiscono affrontare il rischio di entrare in un mondo completamente deregolamentato, che tende a sfuggire ai sempre più capillari apparati di vigilanza, una ragione ci sarà, ed è lecito pensare che non si tratti semplicemente di ingordigia, ma anche di una irreversibile perdita di fiducia verso il sistema finanziario tradizionale.

Tuttavia, al grido di dolore di questa consistente parte di risparmiatori o di investitori non è stata data alcuna risposta concreta, a parte la proliferazione di corpi normativi abnormemente complessi ed incomprensibili per la stragrande maggioranza degli utenti e degli investitori non professionali.

Ebbene, è abbastanza evidente che fino a quando non verrà fornita qualche risposta adeguata a questo tipo di esigenza, il mercato cercherà ed escogiterà strade alternative (ben più allettanti) ai canali convenzionali per intercettare questo tipo specifico di domanda.

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Luciano Quarta