Brexit: le imprese preoccupate tagliano assunzioni e investimenti
Deloitte rivela un sentiment negativo crescente in vista di un’uscita dalla Ue senza paracadute
La preoccupazione nel Regno Unito continua a crescere. L'inchiesta più recente porta la firma di Deloitte che ha intervistato 95 chief financial officer, fra cui 18 presso aziende Ftse 100 e 36 di aziende più piccole quotate all’Ftse 250. In particolare, la società di consulenza e revisione ha scoperto che l’ansia non è mai stata così alta dalla data del referendum nel 2016. Sono sempre di più, infatti, i manager che hanno contratto le assunzioni e i piani di investimento.
I dati peggiorano rispetto a tre mesi fa
Rilanciato dal Guardian, lo studio evidenzia la preoccupazione per gli effetti di lungo periodo della Brexit. Le imprese temono uno sconvolgimento nelle loro relazioni commerciali con i clienti nell'Unione europea e questo sta spingendo verso il basso l'ottimismo sulle prospettive future. In particolare, dall'ultimo sondaggio Deloitte condotto tre mesi fa, solo il 13% dei rispondenti continua a ritenersi più ottimista circa le prospettive per la propria azienda. A luglio, invece, chi si aspettava un miglioramento futuro era il 24%.
Dubbi sulle prospettive a lungo termine
Anche i sentimenti sulla Brexit sono sempre più negativi. Il 79% dei chief financial officer, infatti, teme di dover fare i conti con un peggioramento del contesto economico a lungo termine a seguito dell'uscita dall’Ue. Nel secondo trimestre, il dato era al 75%. E non è tutto, perché questo è il terzo trimestre consecutivo in cui si registra un aumento delle preoccupazioni.
Accelerano i piani di contingenza
"Le grandi multinazionali stanno facendo il punto e solo il 12% dei direttori finanziari è convinto che sia un buon momento per correre dei rischi, mentre il 44% si aspetta che i propri investimenti saranno inferiori nei prossimi tre anni”, ha aggiunto Ian Stewart, capo economista di Deloitte. La preoccupazione principale riguarda un’uscita dalla Ue senza un accordo di transizione. Nei giorni scorsi, per esempio, l’amministratore delegato uscente dei Lloyd's di Londra, Inga Beale, ha rivelato che la sua azienda sta accelerando i piani di contingenza della Brexit per trasferire i contratti a una filiale di Bruxelles.
La debolezza della sterlina non aiuta le esportazioni
Anche le Camere di commercio britanniche temono che l'incertezza della Brexit danneggi l'economia del Regno Unito e trascini verso il basso la crescita. Il sondaggio trimestrale sul clima aziendale condotto dalle Camere di commercio britanniche (Bcc) ha rilevato che la percentuale di aziende di servizi che ha in programma di assumere nuovo personale è al livello più basso da 25 anni. Solo il 47% delle aziende ha dichiarato di voler assumere, in calo dal 60% di tre mesi fa, il dato più basso dal 1993.
Imprese bloccate in un limbo
A dispetto del fatto che una sterlina più debole dovrebbe rendere più competitive le esportazioni dal Regno Unito, la Bcc nota che è calato il numero di produttori che beneficia di un incremento degli ordini dall'estero. Le fabbriche, in realtà, risentono di un aumento dei costi delle materie prime che determina in molti casi un aumento dei prezzi. Adam Marshall, direttore generale della Bcc, ha sintetizzato al situazione spiegando che le imprese del Regno Unito sono "bloccate in un limbo”. Secondo Marshall, dovrebbe essere motivo di grave preoccupazione per il governo il fatto che le vendite e gli ordini in patria e all'estero sono stagnanti.
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