Almaviva
ANSA/CESARE ABBATE
Economia

Call center, le cinque mosse del governo per riportarli in Italia

L’operazione potrebbe generare oltre 20mila posti di lavoro, che attualmente sono a beneficio di Paesi esteri

Il caso Alamaviva ha riportato in maniera pesante all’attenzione dell’opinione pubblica il problema dei call center. Sempre più spesso infatti le aziende preferiscono far svolgere le attività di informativa ai propri clienti a strutture che non sono sul territorio italiano ma all’estero, e questo per la semplice ragione che costano di meno. Secondo alcune stime infatti, a fronte degli 80mila addetti italiani, circa 25mila lavoratori di call center che operano per società italiane sarebbero residenti in Romania, Albania, Polonia, Croazia, Tunisia e Marocco. Ora il governo avrebbe intenzione di mettere un freno a questo fenomeno, richiamando le maggiori società che utilizzano call center, dalle banche alle assicurazioni, dagli operatori telefonici a quelli di multiutility, a firmare un protocollo d’intesa che mira appunto a far rientrare in Italia questo tipo di attività. Secondo quanto riportato da Repubblica, la bozza dell’intesa prevederebbe cinque punti specifici su cui le aziende firmatarie si sarebbero impegnate.

Parametri di qualità

Le imprese si impegnano a chiedere ai propri call center alcuni parametri di qualità tra i quali l’uso di un italiano corrente e un linguaggio chiaro e comprensibile. Inoltre risposte adeguate entro tempi contrattualmente definiti, applicabilità della normativa nazionale in termini di trattamento dei dati personali anche se il servizio è fornito dall'estero e il rispetto delle fasce orarie indicate dalla legge per i contatti telefonici.

Sedi italiane

Altro impegno è quello secondo cui chi esercita in proprio l’attività di call center lo faccia in sedi dislocate sul territorio italiano al 100%. Mentre chi utilizza servizi in outsourcing si affidi a società che abbiano nel nostro Paese almeno l’80% delle postazioni. Verrebbero inoltre aboliti quei classici meccanismi di reindirizzamento, che portano l’utente ad essere messo in contatto con call center esteri.

Aste controllate

Le società che richiedono servizi, lo farebbero attraverso aste che non adotterebbero l’unico criterio della massima convenienza economica, ma che punterebbero a valorizzare anche aspetti tecnici e qualitativi dell’offerta proposta.

Costo del lavoro

Quando si tratta di affidarsi a servizi in outsourcing, questo avverrà sulla base di tariffe orarie di lavoro che fanno riferimento ad accordi sindacali e dunque a minimi contrattuali già previsti dalla legge.

Clausola sociale

Si tratta dell’ultimo, e certamente del parametro più difficile da rispettare. Riguarda la cosiddetta clausola sociale, ovvero l’impegno di garantire la continuità del lavoro del call center nel caso vada ad esaurirsi un contratto, e la nuova società che subentra non voglia confermare tutti i posti di lavoro.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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