Nuove imprese, dall'allevamento di alpaca alle capre da Cashmere
Ecco le storie di giovani che si mettono alla prova lasciando la scrivania per scommettere in proprio
Giovani e non che si mettono alla prova. Lasciano il lavoro in città o lo perdono. Non si danno per vinti e si riciclano professionalmente abbandonando la scrivania per scommettere in un mercato ancora tutto da esplorare: l’allevamento in Italia di alpaca e capre da Cashmere . Messe insieme sono circa cinquecento le famiglie che hanno investito tempo e denaro in uno di questi beni di lusso . Malgrado tutto, a prova di crisi.
Riccardo Romanelli e Rossella Testi si sono trasferiti da Firenze a Santa Fiora, una piccola località sul monte Amiata. In dieci anni possono vantare di avere creato uno tra gli allevamenti d’alpaca più grandi in Italia. “Sono ingegnere meccanico e qualche anno fa ho perso il lavoro. Non sapevo fare altro ma amavo la natura e anche un po’ il rischio. Insieme a mia moglie ho investito in un pugno di ettari di terreno e quattro alpaca. Oggi sono 10 ettari e 60 esemplari di tutte le età e i colori”, spiega Riccardo Romanelli. Un maschio può valere 1500-1600 euro, una femmina fino a 4000.
Allevarli è facile e non richiedono grandi sforzi e costi di mantenimento. “Mangiano rovi ed erbacce o un chilo di fieno come i cavalli. Hanno bisogno di un riparo per l’inverno ma resistono a temperature molto basse. Le uniche spese sono il veterinario e la tosatura che all’anno incidono per circa 100 euro” prosegue Romanelli. Una femmina può avere un solo cucciolo ma a 12 mesi questo è già in grado di produrre quasi tre chili di lana che, lavorata, vale 15-20 euro al chilo. I primi alpaca di Santa Fiora provenivano dal Perù gli altri sono tutti italiani. “La nostra è una fattoria a filiera corta . Dall’alpaca al prodotto finito. Quando il fiocco torna lavato e filato ci inventiamo cosa farne. Dalle coperte ai guanti, dai maglioni alle sciarpe che vengono venduti ai mercati artigianali” continua Romanelli. Così sono nati il sito fioralpaca e le attività didattiche estive dedicate ai bambini e ai genitori che vogliono imparare qualcosa di più su questo quadrupede così simile al lama ma molto più prezioso.
Anche Alberto Agnesina e Francesca Di Donato sono una coppia professionalmente riciclata. Loro sono soltanto all’inizio. Quattro anni fa hanno lasciato Milano per andare a vivere in Valsesia insieme alle loro 13 capre da Cashmere, in un rudere in mezzo al bosco, a 800 metri d’altezza. “Siamo arrivati ad averne 27. Poi, vista la crisi, ne abbiamo vendute 14 richiestissime per il recupero di terreni demaniali in stato di abbandono”, spiega Alberto Agnesina. La capra da Cashmere è un animale rustico che vale da 250 a oltre 1000 euro e non ha spese di mantenimento eccessive (circa 80 euro l’anno).
Oltre allo sfruttamento del vello, che produce in piccolissime quantità, viene impiegata proprio per ripulire i terreni. Costituendo un nuovo business. “Queste capre mangiano rovi e ortiche e vengono usate dove è difficile arrivare con i macchinari oppure da chi desidera recuperare in modo biologico una zona abbandonata. Sono animali che provengono dagli altopiani della Mongolia , abituati a vivere a 4500 metri d’altitudine. Hanno bisogno di 2000-3000 metri di pascolo, ma senza recinzione. Di fondamentale importanza è la copertura. Anche una tettoia, perchè la capra da Cashmere non produce lanolina e soffre la pioggia”, continua Agnesina. Per quanto riguarda il fiocco, la capra viene pettinata una volta l’anno e da ogni animale si ricavano circa 300 grammi di Cashmere. Il 60% viene scartato durante la lavorazione ed è per questo che, a prodotto finito, i suoi costi lievitano. Un etto arriva a circa 80 euro. “I ricavi per noi oggi sono pochi ma ci aspettiamo un ritorno economico nei prossimi anni, quando aumenteremo il numero delle capre e potremo avviare la filiera corta. Per ora ci accontentiamo di vivere con l’allevamento, la fattoria didattica e la vendita degli animali e dei manufatti dal marchio Valsesia Cashmere”, conclude l’allevatore.