La Cina diventa meno competitiva
Economia

La Cina diventa meno competitiva

Anche se l’economia ha ripreso a crescere, nell’Impero di mezzo diminuiscono i capitali esteri. Perché è iniziata la fuga verso Messico e Sud-Est asiatico.

E io delocalizzo in Cina... La minaccia non è più così temibile per la sorte dei posti di lavoro in Occidente. Perché, mentre circolano dati apparentemente confortanti su un’economia ancora tonica, dall’ufficio nazionale di statistica di Pechino escono, in silenzio, cifre meno entusiasmanti: nel 2012 gli investimenti diretti esteri sono calati del 3,7 per cento, segnando la prima frenata negli ultimi 3 anni. È iniziata la fuga da Pechino? Con 111,7 miliardi di dollari, per le aziende straniere la Cina è tuttora la principale destinazione al mondo. Ma particolarmente colpito è il settore manifatturiero, dove la frenata degli investimenti esteri tocca addirittura il 6,2 per cento anno su anno. Colpa della crisi nell’eurozona, sostiene il ministero del Commercio cinese, e delle imprese europee sempre più timide. In effetti gli investimenti europei calano del 3,8 per cento, a differenza di Usa e Giappone. In ogni caso, la debolezza dell’Ue non è l’unica ragione.

L’analista Lu Zhengwei cita il taglio dei profitti delle aziende nazionali e straniere, dovuto al rallentamento dell’economia cinese nel 2012 (pil +7,8 per cento, il ritmo più lento dal 1999; nell’ultimo trimestre +7,9, dopo sette rallentamenti consecutivi). In sintesi, molti analisti sottolineano che, mentre la spinta propulsiva resta, anche grazie ai consumi interni (nel 2013, prevede la Shanghai Bank, il Dragone risalirà a una crescita dell’8,5 per cento), la Cina non è più una nazione dove delocalizzare a buon mercato. Per esempio, lo scorso anno ben 23 province e regioni amministrative hanno aumentato i salari minimi. E a partire da gennaio, in varie aree, fra le quali Pechino, sono entrati in vigore ulteriori incrementi, portando gli stipendi mensili garantiti a circa 150 euro. Inoltre gli imprenditori che non si adeguano devono fare i conti con una classe operaia sempre più consapevole dei propri diritti: si moltiplicano gli scioperi. Lo sanno bene i 17 dirigenti della società giapponese Shanghai Shinmei Electric, sequestrati a metà gennaio da una folla di lavoratori inferociti per l’introduzione di regole particolarmente severe.

Le aziende sono in attesa delle decisioni del nuovo leader Xi Jinping, che si insedierà alla presidenza il prossimo marzo e potrebbe introdurre misure per rendere la vita più semplice alle imprese straniere. Altre trovano già più proficuo trasferirsi in paesi dai costi più ridotti, come il Sud-Est asiatico o il Messico.

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Antonio Talia