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(Ansa)
Economia

Cina & Fitch, la doppia crisi

Pechino conferma i problemi economici e viene declassata dall'agenzia di rating che però non è che a livello di considerazione globale sia messe meglio

I mercati borsistici asiatici hanno reagito con scarso interesse all’annuncio dell’agenzia di rating Fitch di aver modificato in negativo le prospettive sul debito cinese. Del resto il giudizio era atteso, visto che nello scorso mese di dicembre Moody’s aveva preso una decisione analoga, declassando l’”outlook” sulla secona economia più importante del pianeta. Fitch ha dunque mantenuto invariato il voto sul debito sovrano cinese, rimasto ad A+ (la terza categoria più alta, l’Italia è messa peggio con BBB) ma ha abbassato da stabili a “negative” le prospettive.

Al di là delle formule, la decisione di Fitch riaccende l’attenzione della pubblica opinione sullo stato di salute dell’economia cinese: le finanza pubbliche di Pechino si trovano tra il martello di una crescita più lenta e l’incudine di un debito crescente. Fitch prevede che il debito pubblico centrale e locale esplicito della Cina salirà quest’anno al 61,3% del prodotto interno lordo (Pil) ben sopra il 56,1% del 2023, e il 38,5% nel 2019. Parallelamente l’economia rallenterà al 4,5% nel 2024 contro il 5,2% dell'anno scorso, mentre il Fondo monetario internazionale prevede che il Pil cinese crescerà quest'anno del 4,6%.

A pesare su debito pubblico e crescita è stata la prolungata recessione immobiliare. Secondo Dan Wang, capo economista della Hang Seng Bank China, "la revisione di Fitch ha rispecchiato la preoccupazione fondamentale per la salute fiscale della Cina e la sua capacità di guidare la crescita a lungo termine". Di fatto la grande potenza asiatica sta soffrendo per una debole domanda interna e per gli scarsi investimenti privati, conseguenze della recessione immobiliare. E lo Stato deve sopperire a queste mancanze pompando denaro nell’economia. Pechino comunque conta di riportare al 5% la crescita quest’anno.

Che impatto ha sul resto del mondo il rallentamento della Cina e l’aumento del suo debito?

Da un punto di vista politico è possibile che una Cina più vulnerabile possa cercare di ricucire le relazioni con gli Stati Uni, che hanno imposto limiti all’export cinese verso il loro mercato. Ma c’è anche una tesi opposta, che immagina una Cina più aggressiva. Il deputato repubblicano Mike Gallagher, presidente del comitato ristretto della Camera degli Stati Uniti sulla Cina, ha affermato che i problemi interni stanno rendendo il leader cinese Xi Jinping “meno prevedibile” e potrebbero portarlo a “fare qualcosa di molto stupido” per esempio nei confronti di Taiwan.

Per quanto riguardo l’impatto sull’economia del pianeta, se si considera che la Cina è responsabile di oltre un terzo della crescita mondiale, qualsiasi tipo di decelerazione si farà sentire oltre i suoi confini. Centinaia di grandi imprese globali traggono gran parte dei loro ricavi dal vasto mercato di consumo cinese e saranno colpite dalla minore spesa delle famiglie. Gli effetti a catena saranno poi avvertiti dalle migliaia di fornitori e dipendenti in tutto il mondo che lavorano con queste aziende. Inoltre la minore domanda di matterie prime e semilavorati colpisce i Paesi fornitori. Già molte capitali del Sud-est asiatico, come quelle di Corea del Sud e Thailandia, hanno giustificato il rallentamento nel 2023 delle loro economie con il calo della domanda cinese, mentre “i grandi esportatori come l'Australia, il Brasile e diversi paesi dell'Africa saranno i più colpiti da questa situazione" ha detto Roland Rajah, direttore del Centro di sviluppo indo-pacifico presso il Lowy Institute di Sydney.

Inoltre, nell’ambito del grande progetto della Via della seta più di 150 Paesi hanno ricevuto denaro e tecnologia cinese per costruire strade, aeroporti, porti marittimi e ponti. Secondo Rajah, l’impegno cinese in questi progetti potrebbe iniziare ad affievolirsi se i problemi economici persistessero in patria. "Ora le aziende e le banche cinesi non avranno la stessa generosità finanziaria da spendere all'estero".

L’impressione è di assistere ad un effetto domino che partendo dalla Cina si irradia nel resto del mondo frenando alcune attività, lambendo anche l’Italia con le sue aziende del lusso. Un altro effetto riguarda il calo del turismo: il crollo del mercato immobiliare rende i proprietari di case meno ricchi di prima e quindi anche i viaggi all'estero faranno fatica a toccare i livelli pre-pandemia, colpendo sia le nazioni dipendenti dal turismo nel sud-est asiatico come la Thailandia, sia quelle europee come l’Italia.

Ma c’è almeno un aspetto positivo: il rallentamento della Cina ridurrà le quotazioni globali del petrolio e i prezzi delle merci spedite in tutto il mondo scenderanno. Un vantaggio per i consumatori.

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Guido Fontanelli