La Cina salva Evergrande per salvare se stessa
Il governo di Pechino ha deciso di aiutare il colosso immobiliare a rischio default ma all'orizzonte compaiono altre bolle analoghe
Evergrande sarà salvata dal governo cinese. Il gruppo immobiliare che ha fatto tremare a inizio settimana le borse di tutto il mondo a causa della sua situazione finanziaria (il listino americano S&P ha perso l'1,7%, Milano il 2,5% e tutte le altre borse asiatiche ed europee hanno chiuso in negativo) potrebbe non fallire, grazie all'intervento del governo cinese. Il salvataggio avrà però un prezzo che dovrà pagare Xu Jiayon, il fondatore del gruppo.
Secondo Lorenzo Riccardi, Managing partner RsA ed economista presso l'università di Shangai, il governo cinese molto probabilmente interverrà nel salvataggio oltre "perché ha tutta la solidità per farlo, anche per evitare una crisi sul mercato locale. E' però possibile che studino una strategia affinché questo imprenditore sia giudicato responsabile" della situazione economica di Evergrande. Se questo scenario dovesse effettivamente verificarsi, sono due i punti da mettere bene a fuoco. Il primo riguarda il consolidamento della strategia "anti paperoni" messa in campo da Xi Jinping. Da qualche mese infatti il governo ha iniziato a puntare gli occhi sui miliardari locali, con l'obiettivo di ridurne il ruolo nella società.
Il primo a subirne le conseguenze è stato Jack Ma, fondatore di Alibaba, e adesso potrebbe toccare proprio a Jiayon. La strategia che vuole perseguire il partito è infatti quella del bilanciamento della ricchezza e del benessere condiviso. Il secondo aspetto ruota invece attorno al mondo esterno. A livello economico il Paese è stato uno dei pochi a livello mondiale a mostrare una crescita robusta anche nell'anno della pandemia. Oggi però la situazione, anche a causa della variante delta, si sta leggermente modificando. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca mondiale, spiega Riccardi "hanno rivisto le stime sulla crescita con delle piccole correzioni. Per la prima volta ci sono degli indicatori al ribasso". Da parte sua il governo cinese è dunque intenzionato a dare segnali positivi all'esterno e la gestione di questa crisi potrebbe essere un modo per farlo.
Ma come ha fatto Evergrande ad arrivare a questa situazione?
La storia del colosso immobiliare va contestualizzata nel trend dell'economia cinese. "Il successo del gruppo è strettamente legato alla strategia sull'urbanizzazione messe in atto dalla Cina", spiega Riccardi. "L'obiettivo è trasferire la popolazione dai centri rurali a quelli urbani. A questo si aggiunge che il Paese, dopo aver sviluppato in modo forte la costa Est, vuole fare lo stesso con la parte Ovest". Da considerare inoltre anche l'allargamento della classe media, che ha iniziato ad accedere al mercato immobiliare. Grazie a questi fattori si può dunque spiegare il forte sviluppo di Evergrande, che è diventato negli anni un colosso nel real estate. Nel tempo però la società ha anche contratto diversi debiti che ad oggi ammontano a 305 miliardi di dollari. Questo suo modo di operare ha portato l'impresa ad essere ammonita, con scarsi risultati, visto l'epilogo di lunedì.
Una delle incognite su cui molti analisti in questi giorni stavano ragionando è il debito di 80 milioni di dollari di interesse che la società dovrebbe ripagare entro il 23 settembre. Il focus è stato posto proprio su questo debito perché nel caso in cui Evergrande non dovesse riuscire a pagare la somma potrebbe dover chiudere. Oggi però è arrivato un comunicato dalla borsa di Shenzhen, dove la società ha confermato il pagamento di una cedola onshore (obbligazioni emesse sul mercato cinese), ma non di una quella offshore pari a 84 miliardi di dollari in scadenza proprio domani. Sembra dunque andarsi a delineare una strategia che vede sanare il debito contratto a livello nazionale sacrificando gli investitori esteri. "Ovviamente è ancora preso per tirare le somme" spiega Riccardi, "bisognerà aspettare di capire in modo definitivo quale sarà la strategia della società nei prossimi giorni. Si auspica che il governo intervenga o che gruppi (sempre operanti nel settore immobiliare) agiscano per sanare la situazione". Se così non fosse si prevede un inasprimento nelle relazioni (sopratutto)con gli Usa. Ma non solo, perché in generale i rapporti con la Cina da parte degli investitori esteri e degli altri paesi potrebbe diventare più difficile anche in chiave di strategie future.
Ma le cattive notizie non sono finite. Ci sono infatti altri pericoli per tutti gli investitori esteri che hanno puntato sulle multinazionali cinesi del tech e non che al momento sono quotate sul mercato americano. "La Cina potrebbe inserire una normativa per delistare i propri gruppi (dal mercato Usa). Già durante l'amministrazione Trump ci sono stati diversi casi di gruppi cinesi quotati con valutazioni non congrue (e questa realtà era già stata sottolineata ed evidenziata come un pericolo per il mercato azionario). E se dunque da una parte gli Usa hanno già valutato che ci sono criteri non idonei (per alcune società cinesi), dall'altra la stessa Cina vuole disinvestire negli Stati Uniti d'America per spostarsi in altre regioni", conclude Riccardi. Ed è per questo motivo che potrebbe rallentare i propri colossi, costringendoli ad uscire dal mercato a stelle e strisce. Ovviamente questa mossa, se si realizzerà, avrà degli effetti negativi su tutti quegli investitori esteri che hanno puntato sulle multinazionali cinesi.
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