Come cambia il lavoro in banca
Mentre gli esuberi abbondano, si fa strada un nuovo inquadramento: metà come dipendente part-time e metà come lavoratore autonomo
C’era una volta il posto sicuro in banca che iniziava in giovane età e finiva con la pensione, magari sempre nello stesso istituto. Con la crisi degli ultimi anni, il proliferare dei conti correnti online e la sempre maggiore concorrenza delle più snelle reti di consulenti finanziari, tutte le maggiori banche italiane stanno effettuando una vera e propria cura dimagrante, chiudendo decine di filiali e sopprimendo migliaia di posti di lavoro, per fortuna quasi sempre a suon di prepensionamenti.
Raffica di tagli
L’ultima in ordine di tempo ad annunciare nuovi tagli è stata Intesa Sanpaolo, che nella notte del 21 dicembre ha firmato con i sindacati un’intesa per programmare 9mila esuberi nei prossimi anni e per assumere altre 1.500 persone da qui al 2020. Alla base di questa cura dimagrante non ci sono problemi di bilancio, essendo Intesa Sanpaolo il più grande (e probabilmente più sano) gruppo bancario italiano.
Piuttosto, l’istituto guidato da Carlo Messina aveva bisogno di un riassetto dopo aver acquisito a costo zero le moribonde banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca). A ben guardare, però, quasi tutti i maggiori concorrenti di Intesa Sanpaolo si stanno muovendo da tempo nella stessa direzione. UniCredit, per esempio, ha messo in programma oltre 6mila tagli al personale tra il 2015 e il 2018. Gli esuberi del Monte dei Paschi di Siena sono invece 2.600, Ubi Banca ne ha messi in cantiere oltre 2.700 entro il 2020 e il Banco Bpm circa mille.
Metà dipendente, metà consulente
E' vero che tutte le fuoriuscite verranno gestite fortunatamente con scivoli morbidi verso la pensione, ma la sostanza non cambia: il lavoro in banca sta subendo una profonda trasformazione. Anche perché, è bene ricordarlo, l’avvento di internet e dell’automazione sta redendo inutili molte figure professionali che un tempo si dedicavano all’operatività ordinaria.
Non a caso, quasi un terzo di chi verrà assunto da Intesa Sanpaolo nei prossimi anni (500 persone su 1.500) verrà inquadrato con una modalità quasi impensabile nei decenni scorsi per una grande banca nazionale. Si tratta di un contratto ibrido che prevede una remunerazione di base fissa come dipendente part-time (e quindi più bassa del normale) a cui si aggiunge un compenso da lavoro autonomo come consulente finanziario (un tempo detto promotore finanziario) remunerato ovviamente con le provvigioni: più bravo è a vendere prodotti e a trovare nuovi clienti, più soldi guadagna.
Addio vecchio posto sicuro con lo stipendio garantito a fine mese, insomma. Ora molti bancari stanno per diventare liberi professionisti che lavorano e rischiano in proprio, anche se non al 100%.