Come funzionano le concessioni autostradali
Assegnazioni, meccanismi, criticità e revoche: un sistema che funziona male e che è economicamente quasi impossibile da sbloccare
"Toglieremo la concessione della A10 alla società Autostrade". Dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al ministro per lo sviluppo economico Luigi Di Maio a quello degli interni Matteo Salvini la volontà sembra essere unanime dopo l'immane tragedia che il 14 agosto ha sconvolto Genova e l'Italia intera con il crollo del Viadotto Morandi. Anzi, proprio Di Maio ha dichiarato di aver già avviato la richiesta di revoca della concessione e una multa da 150 milioni di euro, causando un crollo in Borsa del titolo Autostrade che fino alle prime ore del mattino non riusciva a fare prezzo attestandosi a -50%.
Eppure la strada non è così semplice. Ma per capirlo bisogna avere chiaro come funzionano le concessioni autostradali.
Il funzionamento
Lo Stato possiede 6.668 km di rete autostradale. In piccola parte la gestisce attraverso l'Anas e altre società pubbliche (infatti su queste strade non si pagano pedaggi), mentre in larga parte la assegna in concessione a società private. Dal 2012 è il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti a stipulare le convenzioni con i concessionari.
Il funzionamento è semplice: il Governo dà in concessione un tratto stradale consentendo all'ente privato di chiedere un pedaggio per la sua percorrenza in cambio di investimenti e manutenzione sulle strade che siano "coerenti". Ed è il Governo che deve fare queste verifiche periodicamente insieme alla società concessionaria.
L'anomalia italiana è che un unico privato ha in concessione circa la metà della rete (compresa la A10) ed è Autostrade per l'Italia, azienda al 100% del gruppo Atlantia la cui quota di maggioranza (30%) è di proprietà della famiglia Benetton attraverso la holding Sintonia.
La durata delle concessioni è lunghissima: nel caso di Autostrade fino al 2042.
Più pedaggi meno investimenti
Vi avevamo spiegato già qui perché il business delle concessioni è davvero un affare: nel 2016 (ultimi dati disponibili) le entrate da pedaggi erano aumentate del 4,1% mentre le spese per manutenzione (-7,3%) e investimenti (-23,9%) sono crollate. Non solo: nel 2018 i pedaggi hanno continuato ad aumentare (la media nazionale è del 2,7% ma in alcuni tratti si va oltre addirittura al 50%).
Revocare una concessione: tutte le difficoltà
Ora, revocare una concessione non è affatto semplice come vuole far sembrare il Ministro Di Maio. Tutt'altro. Intanto per poter essere applicata deve essere dimostrato in sede giuridica un "dolo grave" del concessionario. Nel caso della tragedia del Ponte Morandi dunque, dovrebbe essere accertato che il dolo di Autostrade per l'Italia è stato tale da causarne il crollo. E su questo aspetto è difficile pensare che un colosso come Autostrade non si sia coperta da eventuali rischi.
Tanto da aver dichiarato in una nota: "In relazione all'annuncio dell'avvio della procedura di revoca della concessione, Autostrade per l'Italia si dichiara fiduciosa di poter dimostrare di aver sempre correttamente adempiuto ai propri obblighi di concessionario, nell'ambito del contraddittorio previsto dalle regole contrattuali che si svolgerà nei prossimi mesi. È una fiducia che si fonda sulle attività di monitoraggio e manutenzione svolte sulla base dei migliori standard internazionali. Peraltro non è possibile in questa fase formulare alcuna ipotesi attendibile sulle cause del crollo. Autostrade per l'Italia sta lavorando alacremente alla definizione del progetto di ricostruzione del viadotto, che completerebbe in cinque mesi dalla piena disponibilità delle aree. La società continuerà a collaborare con le istituzioni locali per ridurre il più possibile i disagi causati dal crollo".
Le incognite giuridiche sono le più importanti: mancano contestazioni formali precedenti per inadempienze che sembrano essere necessarie e sarà il Governo a dover muovere accuse dettagliate sulle cause del disastro alla società Autostrade con tutte le difficoltà tecniche che questo comporta.
Ma c'è di più: revocare una concessione prevede delle penali, pesanti, per lo Stato che, nel caso della A10, sono state stimate intorno ai 15-20 miliardi. Come riportato da ANSA, la convenzione infatti prevede che il concessionario abbia diritto ad "un indennizzo/risarcimento a carico del Concedente in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione". L'indennizzo "sarà pari ad un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione, prevedibile dalla data del provvedimento di recesso, revoca o risoluzione del rapporto, sino alla scadenza della concessione", nel 2042.