Condono fiscale: il perché dello scontro M5S-Lega
Di Maio contesta alcune misure che favorirebbero il riciclaggio e che sarebbero state inserite nel decreto a sua insaputa
Si tinge decisamente di giallo il percorso di approvazione del decreto legge sul condono fiscale, con tanto di accuse di manipolazione da parte del vicepremier Luigi Di Maio che minaccia addirittura di presentare un esposto alla procura.
Il M5S denuncia infatti di aver dato il proprio assenso a un testo di legge che invece poi sarebbe stato modificato e inviato in questa nuova versione al presidente della Repubblica. In effetti dal Quirinale si sono affettati a far sapere di non aver ricevuto nessun documento, ma il “mistero” sulla presunta manipolazione del testo originale resta intatto.
E, neanche tanto velatamente, i grillini fanno ricadere la colpa sulla Lega, che per bocca del proprio leader Matteo Salvini, ha tempestivamente rigettato l’accusa, dichiarando la propria “serietà” politica.
Insomma, uno scontro in piena regola tra alleati di governo, la cui soluzione ora è nelle mani del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha annunciato di voler rivedere, articolo per articolo, tutto il decreto, prima di inviarlo, questa volta per davvero, al Capo dello Stato.
Ma cerchiamo di capire quali sono le misure contenute nel provvedimento in questione che hanno aperto il conflitto tra Lega e Cinquestelle.
La norma incriminata
A scatenare le ire del M5S, e in particolare del suo leader Di Maio, è stato l’articolo 9 della bozza di decreto legge sul condono.
In un suo passaggio, del quale Di Maio sostiene appunto di non essere stato a conoscenza prima, si prevede che si possano sanare attraverso il meccanismo della pace fiscale (pagando il 20% del dovuto, senza sanzioni e interessi) anche due imposte che riguardano proprietà e attività fiscali extra-confine, Ivie e Ivafe, rispettivamente l'imposta sul valore degli immobili situati all'estero e l'imposta sul valore delle attività finanziare detenute all'estero.
Insomma, una sorta di provvedimento ibrido, una via di mezzo tra uno scudo fiscale, sulla scia dello scudo di tremontiana memoria, e una voluntary disclosure vera e propria.
Le accuse di DiMaio
La norma sopra citata ha dunque fatto saltare sulla sedia, o meglio sulla poltrona, Di Maio il quale, ospite del programma televisivo Porta a Porta, ha affermato: “Nel testo che è arrivato al Quirinale c’è lo scudo fiscale per i capitali all’estero. E c'è la non punibilità per chi evade. Noi non scudiamo capitali di corrotti e di mafiosi. E non era questo il testo uscito dal Consiglio dei ministri. Io questo testo non lo firmo e non andrà al Parlamento”.
Il tutto in risposta a chi, dopo aver letto nel dettaglio il decreto, aveva subito accusato il governo di aver costruito una legge per favorire il riciclaggio di denaro sporco.
Le possibili via d’uscite
Ora, come detto, il testo del decreto è tornato sul tavolo del premier Conte per essere rivisto. Difficile immaginare quale sarà la possibile soluzione. Per un verso ci potrebbe essere un totale stralcio delle norme incriminate.
D’altro canto, rifacendosi a passate esperienze, si può ricordare che le due imposte incriminate, Ivie e Ivafe, si potevano già regolarizzare negli anni scorsi, sfruttando appunto i benefici della voluntary disclosure, che però si rivolgeva a diverse altre tipologie di capitali detenuti illegalmente all'estero e prevedeva il pagamento di tutto il dovuto con sanzioni e interessi ridotti.
Nel caso del decreto sulla pace fiscale invece si tratterebbe di integrare una dichiarazione già effettuata senza far emergere immobili o capitali che fino a questo momento siano inesistenti per il fisco. Insomma, sarà dura per Conte trovare la quadra. Staremo a vedere.
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