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(Ansa)
Economia

C'è un solo clima, per tutti

Il fallimento di Cop28 mostra ancora una volta i limiti dell'utopia economica green

Il presidente della Cop28, Sultan Al Jaber ha incautamente sostenuto: "Per favore, aiutatemi, mostratemi la tabella di marcia per un'eliminazione graduale dei combustibili fossili che consentirà uno sviluppo socioeconomico sostenibile, a meno che non vogliate riportare il mondo nelle caverne". Al di là delle feroci polemiche prontamente scatenatesi l’Emiro, in realtà, ha rivelato il segreto di Pulcinella: oggi la matematica climatica non fornisce l’insieme di soluzioni ipotizzate dai teorici dell’ideologia climatica: i costi non scendono mai, i posti di lavoro verdi non si materializzano mai ed i sussidi, invece, aumentano sempre.

Le considerazioni di Al Jaber poggiano su basi più che concrete, fattuali: man mano che la popolazione globale cresce e sempre più paesi aumentano i consumi energetici le vecchie forme di energia non scompaiono, anzi. Questo perché una buona parte della popolazione mondiale non è abbastanza ricca da interrompere l'uso della biomassa e del carbone. E visto che il picco della popolazione mondiale non è previsto a breve, e sempre più paesi cercano di uscire dalla povertà con l'aiuto di tutte le forme di energia, non ha molto senso aspettarsi che le nazioni in via di sviluppo adottino qualcosa di diverso dalle forme di energia più economiche che oggi sono ancora i combustibili fossili.

Per quanto la tecnologia possa evolversi velocemente e vi siano singoli paesi dove è politicamente possibile apportare cambiamenti su larga scala, di fatto tutti agiscono nel proprio interesse e non esiste un accordo globale sul percorso da seguire. Inoltre, quando si parla di energia, stabilire dei tempi può comportare errori marchiani: il carbone ha impiegato oltre 80 anni per raggiungere il 5% del consumo energetico globale e ne ha impiegati circa altri 30 per raggiungere il 25%. Il petrolio ed il gas naturale sono stati solo leggermente più veloci: rispettivamente 80 e 120 anni per raggiungere il 25% del consumo energetico globale.

Alla fine del 2022 l'energia eolica e solare forniva circa il 5% del consumo totale di energia primaria, con la non trascurabile differenza che questo risultato è stato raggiunto, non tanto sulla base dell’efficienza, quanto attraverso l’adozione di policy mirate ed un investimento economico di oltre 3.000 miliardi di dollari. Considerando l’evoluzione tecnologica, le migliori infrastrutture di trasporto e, soprattutto, che molti governi sembrano disposti a investire nella transizione “ecologica” si potrebbe ottimisticamente ipotizzare che in circa trent’anni eolico e solare possano soddisfare il 25% del consumo energetico globale.

Quindi se anche nel 2050 il 25% dell’energia primaria globale fosse prodotta da eolico e fotovoltaico, secondo le narrazioni mainstream sul cambiamento climatico questo sarebbe un fallimento: la rivoluzione green ignora la scala temporale storica associata alle transizioni energetiche e soprattutto dimentica che sarebbe la prima transizione del genere umano verso una fonte meno densa di energia. Ed infatti pare che una consistente parte del genere umano non la pensi come gli apostoli dell’ideologia climatica se dalla firma dell’Accordo di Parigi le centrali termoelettriche a carbone hanno registrato una crescita netta di 186 GW.

Ed oggi si sta cambiando passo, in peggio: è pianificato lo sviluppo di altri 516 GW di nuova capacità a carbone che, se realizzati, aumenterebbero del 25% l'attuale capacità installata a livello mondiale. Due terzi di questa nuova capacità sono previsti in Cina, che sta incrementando i suoi piani di produzione di energia a carbone dallo scorso anno a causa della siccità che ha ridotto la produzione di energia idroelettrica del Paese e la domanda elettricità è salire alle stelle. Eppure da qualche ambientalista potreste sentirvi dire che la Cina è un modello da seguire poiché è il maggior produttore di pannelli fotovoltaici, turbine eoliche ed auto elettriche malgrado 8 dei 10 principali sviluppatori di centrali a carbone al mondo siano società elettriche cinesi di proprietà statale.

Risulta ancora più ostico da comprendere come il 26% degli investimenti istituzionali in queste società elettriche cinesi siano statunitensi, guidate da BlackRock e Vanguard. Stati Uniti dove Joe Biden si appresta ad erogare sussidi alle tecnologie “verdi” che supereranno di gran lunga ciò che il governo statunitense spese in dollari (attualizzati) per combattere la Grande Depressione. E, nonostante il deficit di bilancio sfiori i 2 trilioni di dollari, i sussidi per l'energia verde saranno finanziati con ancora più debito pubblico.

Nel frattempo cresce la produzione globale di carbone che nel 2022 ha raggiunto il massimo storico con oltre 7,2 miliardi di tonnellate e 31 paesi si apprestano ad aprire nuove miniere di carbone termico per una capacità totale di 2,5 miliardi di tonnellate all'anno: oltre il 35% dell'attuale produzione mondiale. E se qualcuno si preoccupa per la Cina è opportuno che rifletta sul fatto che attualmente è l’indiana Adani Group il più grande sviluppatore privato di miniere di carbone al mondo. Che ha peraltro realizzato un interessante sistema di vasi comunicanti per continuare a far fluire denaro nelle casse del gruppo fondando la Adani Green Energy consentendo agli investitori, che avevano disinvestito dalle attività nel settore del carbone, di continuare comunque a fare affari con il Gruppo Adani.

Qualche numero può contribuire ad inquadrare i tempi di un “accelerato” phase-out dal carbone: l’India ha circa 97 gigawatt (GW) di centrali termoelettriche a carbone con un’età inferiore ai nove anni ed altri 83 GW con un’età inferiore ai diciannove anni. Considerando che la vita media per questi impianti è di almeno 50 anni risulta evidente che, per almeno i prossimi 30-40 anni, quasi 200 GW a carbone solo in India non verranno dismessi. Considerazioni analoghe valgono anche per l’età media delle centrali termoelettriche cinesi o indonesiane. Ma è opportuno sottolineare con forza anche il fatto che la maggior parte delle società che, invece, hanno adottato un phase-out delle loro centrali a carbone allineato con gli Accordi a Parigi, intendono sostituire la loro capacità a carbone con il gas: sostituendo un combustibile fossile con un altro.

Per molti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo ma non solo, la transizione verso un’economia decarbonizzata non può passare attraverso privazioni e miserie peggiori delle attuali. Finché a Bruxelles non prenderanno atto di questo e decideranno come convivere con l’accettazione del fatto che l'UE è uno dei più grandi importatori di materie prime, estratte e prodotte in altre parti del mondo, la transizione resterà un dialogo tra sordi. Esternalizzare le emissioni derivanti dal proprio consumo non serve a niente: c’è un solo clima, per tutti.

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Giovanni Brussato