Crisi dell'euro: produrre di più per guadagnare di meno
Che sia colpa della crisi dell’area euro, o l’onda lunga della globalizzazione, sta di fatto che gli italiani si stanno impoverendo. Il problema è che forse, per tornare a essere competitivi a livello internazionale, dobbiamo ridurre ancora di più il nostro tenore di vita.
L’enfasi europea sul rigore fiscale ha accreditato l’idea che la riduzione del deficit e del debito pubblico siano i principali nodi da affrontare per uscire dalla crisi, se non fosse che il debito continua ad aumentare in proporzione al pil nonostante il bilancio vicino al pareggio.
Questo approccio è discutibile perché trascura la necessità di recuperare il divario di competitività con la Germania e gli altri partner commerciali per ridare impulso alla crescita.
Nella decade precedente, i nostri costi del lavoro per unità di prodotto sono aumentati di circa il 30 per cento. Un dato in linea con la Spagna ma multiplo di quello della Germania, che ha registrato un incremento solo del 4,5 per cento.
Tale indicatore, che combina il costo del lavoro con la produttività, è una variabile importante per riequilibrare a nostro favore le prospettive di crescita nel medio periodo intensificando la domanda estera per i nostri prodotti e servizi.
Sulla base di alcune simulazioni prodotte dalla Brookings Institution di Washington, assumendo una crescita della produttività sullo 0,7 per cento annuo nel prossimo quinquennio in Italia e in Germania, i nostri salari dovrebbero contrarsi del 2,7 per cento all’anno nel medesimo quinquennio, se in Germania continuassero a crescere a un ritmo in linea con la media storica, pari a circa l’1,5 per cento, sempre su base annua.
Anche se l’Italia mettesse in cantiere delle riforme strutturali importanti che innalzassero i livelli di produttività dallo 0,7 al 2 per cento all’anno (un valore triplo a quello ipotizzato per la Germania), l’entità media annua della contrazione si dimezzerebbe ma continuerebbe ad avere segno negativo, se il costo del lavoro oltre le Alpi continuasse a crescere secondo la media storica.
Se, invece, la crescita salariale in Germania aumentasse, diciamo, del 4 per cento l’anno, al di sopra della sua tendenza storica, in Italia una lieve contrazione salariale consentirebbe di riequilibrare il divario di competitività, sempre nel prossimo quinquennio.
Se, infine, introducessimo riforme strutturali per innalzare la produttività del 2 per cento l’anno rispetto allo 0,7 per cento ipotizzato per la Germania, e i salari tedeschi aumentassero del 4 per cento all’anno, la nostra crescita salariale diventerebbe addirittura moderatamente positiva.
Tali simulazioni, inevitabilmente semplificate rispetto alla realtà, mettono in luce che il recupero di competitività non può credibilmente avvenire se non nell’ambito di una piattaforma concertata a livello dell’eurozona.
*presidente dell’Oxford Institute for economic policy e senior fellow della Brookings Institution di Washington