Debito pubblico, ecco quanto vale e perché continua a crescere
Secondo gli ultimi dati di Bankitalia ammonta a 2.300 miliardi e le mancate privatizzazioni non lo stanno facendo diminuire
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco lancia l’allarme sul debito pubblico del nostro Paese, riaccendendo così il faro dell’attenzione su un tema che negli ultimi tempi è passato inopinatamente in secondo piano. Una mancanza di attenzioni del tutto immotivata, visto che l’entità monstre della nostra esposizione finanziaria complessiva resta comunque e sempre un tappo ineludibile al rilancio della nostra economia.
Un argomento sottolineato con forza proprio dal primo inquilino di Palazzo Koch, il quale ha sostenuto appunto che il nostro debito pubblico, unito alla volatilità dei mercati, rappresentano un serio ostacolo alla crescita del Paese. È il caso allora di andare a vedere come si è evoluto in questi anni il nostro debito pubblico, perché ciò è successo e quanto pesa questo macigno sulle famiglie.
Un’escalation inarrestabile
Gli ultimi dati aggiornati di Bankitalia sul debito pubblico, sono stati resi noti qualche giorno fa nel periodico bollettino di Via Nazionale, e fanno riferimento al mese di luglio scorso. L’esposizione complessiva del nostro Paese si fissa a 2.300 miliardi di euro, un nuovo record, con un valore in aumento di circa 20 miliardi rispetto a quello del mese precedente.
Tra l’altro ancora più significativo è rilevare come nel corso degli ultimi tre anni, il debito pubblico del nostro Paese sia cresciuto in maniera inarrestabile di circa 200 miliardi. Questo significa che oggi, valutata la popolazione italiana in 60 milioni di residenti, con facili calcoli si può stabilire che ogni cittadino è gravato virtualmente di un debito personale di circa 40mila euro, che diventano poco meno di 100mila se consideriamo i nuclei familiari.
Le mancate privatizzazioni
Uno degli elementi che ha maggiormente contribuito a frenare la decrescita del nostro debito pubblico, che pure c’era stata negli anni passati, è l’addio al processo di privatizzazioni attivato con successo in epoche precedenti.
A questo proposito è utile segnalare che, ad esempio, l'Ipo di Ferrovie dello Stato sembra particolarmente lontana, sia per motivi tecnici, dopo la fusione con Anas, che di opportunità politica, per l'opposizione di una larga fetta del Pd.
Anche il collocamento di una seconda tranche di Poste è rimasto in stand by, così come l'ipotesi, per un certo tempo ventilata, di cedere quote dei colossi pubblici alla Cassa depositi e prestiti (Cdp), da collocare poi sul mercato in una seconda fase.
Il monito di Visco
Non pare allora assolutamente un caso che il forte richiamo di Visco arrivi proprio in questo momento, ossia alla vigilia della presentazione della Nota di aggiornamento al Def. Anzi, questa circostanza, fa apparire il suo monito ancora più incalzante. Con ogni probabilità, la Nota registrerà infatti per quest'anno una sostanziale stabilizzazione del debito, ma non ancora un calo, che come ricordato più sopra sembra quanto mai lontano.
L'aumento del Pil superiore alle aspettative potrebbe in effetti non essere sufficiente ad invertire la rotta e la discesa della nostra esposizione finanziaria potrebbe essere rimandata al prossimo anno. Nel 2018 però, la riduzione del debito dovrebbe viaggiare parallela all'inflazione, finalmente un po' più alta, e coincidere con l’auspicata ripresa delle privatizzazioni che, come accennato, al momento sembrano essere rimaste al palo. Staremo a vedere.