Debito pubblico: perché il rating è ancora un problema
Le agenzie hanno confermato il giudizio, che però resta a un passo da "spazzatura": al prossimo taglio saremo fuori da gran parte del mercato obbligazionario
[post aggiornato lunedì 30 ottobre 2017]
Standard & Poor's venerdì 27 ottobre ha rivisto al rialzo la propria valutazione sull’Italia da BBB- a BBB. È la prima promozione in 15 anni: non accadeva dal 2002. L’agenzia di rating potrebbe “considerare un ulteriore positiva usl rating se il governo continua ad attuare riforme strutturali che rafforzano le prospettive di crescita” si legge in una nota.
Anche se spesso facciamo finta di dimenticarcene, tranne che nei momenti critici, i problemi economici dell'Italia da almeno due lustri sono sempre due: il debito pubblico troppo alto e la crescita del Pil troppo bassa. È questa l'accoppiata fatale che non solo frena il nostro paese, ma rischia di inchiodarlo a terra, mentre tutti gli altri corrono (o almeno camminano).
Il debito, cioè i Bot e Btp in circolazione, viaggia ancora a livelli da capogiro: a fine agosto ammontava a 2.279 miliardi di euro, secondo alle ultime statistiche di Bankitalia pubblicate a inizio ottobre e che si riferiscono ai due mesi precedenti. È un livello inferiore ai 2.304 miliardi di euro di fine luglio.
Il contatore del debito pubblico dell’Istituto Bruno Leoni, che aggiorna il debito ogni 3 secondi sempre e basa sue previsioni sui dati storici di Via Nazionale, segna proprio in questo momento (mattina del 23 ottobre) una cifra superiore 2.305 miliardi di euro.
Il rapporto debito Pil
C'è poco da stare allegri, insomma, anche perché, se rapportiamo il debito al Pil l'Italia vola al 133 per cento, ben lontano da quel 60 per cento (più del doppio) posto come limite dai trattati di Maastricht nel lontano 1992 per i paesi che sarebbero entrati nell'area euro e poi confermato nel 1997, assieme al limite del 3 per cento per il disavanzo statale, con il Patto di stabilità e crescita - ma solo pochi paesi sono in regola su entrambi i parametri.
Fortuna vuole che gran parte del debito sia con noi stessi: 1.500 miliardi di euro sono detenuti da italiani (banche, assicurazioni e privati), mentre 737 miliardi di euro - quelli più sensibili agli umori dei mercati - sono in mano a investitori esteri. Considerando la scadenza delle obbligazioni emesse dal Tesoro e ancora in circolazione, 310 miliardi sono a breve termine, mentre 1.969 miliardi sono titoli di medio-lungo termine.
Come è classificato il debito
Che sia il debito pubblico la spada di Damocle per l'Italia, lo ricordano ogni anno le agenzie di rating, società private che si fanno pagare per emettere giudizi su governi e aziende in quanto emittenti di strumenti finanziari. Il loro giudizio è importante, perché sulla base di esso si basano molti grandi investitori capaci di spostare da una parte all'altra del pianeta centinaia di miliardi di euro: banche d'affari, assicurazioni e fondi di investimento.
E l'Italia oggi ha il giudizio più basso fra i rating "investment grade": cinque anni fa siamo finiti nella serie B del mercato obbligazionario, un gradino al di sopra del livello "junk". Prima della crisi del 2008 due importanti agenzie ci avevano assegnato la doppia A (il rating massimo è la tripla A, che oggi ha solo la Germania, tra i grandi paesi Ue).
Perché è importante non essere catalogato come titolo "spazzatura" e retrocedere in serie C? Il motivo è presto detto: con quella "pecetta infame", molti investitori sarebbero costretti a vendere i nostri titoli e non potrebbero più ricomprarli, perché il "patto" che hanno stretto con i loro clienti prevede che investano solo in titoli considerati più sicuri (dalla tripla A alla tripla B, in gergo tecnico).
Affidabilità da paesi emergente
In Europa, la nostra affidabilità, considerando la nostra capacità di restituire i soldi che gli investitori ci hanno prestato in passato e continuano a farlo, è pari a quella della Spagna, della Romania e della Polonia.
Allargando lo spettro a livello globale, per gli investitori globali viaggiamo sulla stessa carrozza di India, Thailandia, Indonesia, Kazakistan, Marocco, Messico, Colombia, Perù e Uruguay. Ma cosa pensano oggi dell'Italia le agenzie?
La conferma di Fitch
L'ultima a esprimersi, venerdì 19 ottobre, è stata Fitch, che ha confermato il giudizio sulla tenuta creditizia dell’Italia con un rating "BBB". Gli aspetti positivi, per l'agenzia, sono un’economia "diversificata e ad alto valore aggiunto", indicatori di governance e di sviluppo umano "molto più alti della media europea", un indebitamento privato "moderato", il sistema pensionistico "sostenibile" e tassi bassi sul debito pubblico (grazie alla politica monetaria di Mario Draghi) che ci permette di finanziarci a basso costo.
E le note negative? Appunto sempre di quelle stiamo parlando: il debito pubblico "estremamente alta", la crescita del Pil "bassa". A questo si aggiungono altre due criticità ormai note: il settore bancario ancora debole e i rischi politici con le elezioni ormai vicine nelle prima parte del 2018, che potrebbero vedere l'ascesa di movimenti populisti ed euroscettici.
Moody's e S&P avvertono
Più severa è stata Moody's, che si è espressa i primi di ottobre: confermato il rating Baa2 sul debito pubblico del paese, l'outlook è negativo. Spiega l'agenzia in una nota: "Nonostante il recente miglioramento, le prospettive di crescita dell'economia italiana resteranno probabilmente moderate nel medio periodo. Inoltre, permane una notevole incertezza circa le priorità politiche del prossimo Governo e il ritmo delle riforme fiscali e sostenibili per i prossimi anni".
Standard & Poor's (del gruppo McGrow-Hill), lo scorso maggio ha confermato il rating BBB- dell'Italia, a un passo dai titoli "spazzatura", ma con prospettive stabili. E anche qui, l'agenzia ha menzionato "l'incertezza legata alle elezioni politiche potrebbe pesare sulle prestazioni economiche e le condizioni finanziarie dell'Italia". Paese avvisato, mezzo salvato.