Il destino comune di Air France e Alitalia
Le due compagnie aeree hanno storie parallele e simili. Ora il ministro francese le Maire ha dichiarato che lascerà la compagnia al suo destino. Da noi la palla passa al prossimo Governo. Ma la direzione finale non fa pensare a nulla di buono
Air France e Alitalia, due storie parallele? Le somiglianze tra la vicenda industriale, politica e sindacale delle due compagnie di bandiera sono davvero impressionanti. Chissà se lo sarà anche l’esito delle loro crisi. Perché il governo italiano (sia il gabinetto Renzi sia quello Gentiloni) ha deciso di tenere in piedi l’Alitalia con un prestito ponte, rinviando di mese in mese, anzi di trimestre in trimestre, le scadenze per la vendita (adesso se ne parlerà a ottobre o forse più in là), mentre il governo francese ha detto che non è disposto a gettare altri euro dei contribuenti nel pozzo senza fondo: se Air France è in grado di volare con le sue proprie ali e competere con Lufthansa bene, se no “sparirà”.
Il ministro dell’economia Bruno Le Maire è stato davvero tranchant. Molti dubitano che terrà fede ai suoi proclami, visto che la Francia è la Francia, ma viene comunque da chiedersi perché Parigi parla chiaro e Roma mena il can per l’aia. Il problema, in fondo è lo stesso. Vediamo a questo punto quel che accomuna le due compagnie che da vent’anni cercano di maritarsi per poi rompere il fidanzamento ai piedi dell’altare.
Le due situazioni
Un referendum tra i lavoratori dell’Air France ha bocciato l’accordo e ha costretto l’amministratore delegato Jean-Marc Janaillac alle dimissioni. È il terzo sui cinque che si sono avvicendati negli ultimi 25 anni a cominciare da Christian Blanc caduto sul fronte sindacale nel 1997. Un referendum tra i dipendenti Alitalia nell’aprile dello scorso anno ha bocciato l’accordo sulla ristrutturazione e ha gettato la compagnia nelle braccia di un commissario liquidatore. Anche questo è l’ultimo episodio di una lunga serie segnata, in Italia come in Francia, da un forte potere corporativo sia dei piloti sia del personale di terra. I primi hanno visto ridursi condizioni contrattuali di sicuro privilegio, ma hanno ancora un mercato (sia pur con stipendi e benefit spesso inferiori). Gli altri invece sono spiazzati completamente dall’utilizzo sempre più diffuso delle tecnologie digitali.
L’Air France veniva chiamata il Quai d’Orsay (cioè in ministero degli esteri) con le ali; l’Alitalia era la Farnesina dei cieli: entrambe seguivano rotte dettate da scelte geopolitiche non da convenienze industriali, del resto erano possedute dai governi e i contribuenti pagavano le perdite a suon di tasse. Poi negli anni ’90 il panorama cambia radicalmente con la liberalizzazione dei cieli anche in Europa. Aumenta la concorrenza, irrompono le low cost prima su piccole tratte poi con un raggio sempre più vasto. Ma non solo.
L'innnovazione tecnologica
Si diffonde una innovazione tecnologica che muta radicalmente il trasporto via terra, grazie ai treni ad alta velocità i quali conquistano alcune delle rotte più ricche che erano monopolio delle compagnie di bandiera: si pensi a Roma-Milano-Torino e Parigi-Lione-Marsiglia. Nelle linee aeree, così, arrivano le privatizzazioni. In Air France per la verità lo stato continua a mantenere una quota del 14%, Alitalia diventa davvero privata anche se è sostenuta dalle grandi banche “di sistema” e poi da “capitali coraggiosi” sollecitati dal governo.
I costi sono talmente alti e la concorrenza così feroce che occorre cercare economie di scala, quindi bisogna fondersi. Lo fa in modo molto aggressivo la Lufthansa che diventa egemone nell’Europa del nord e dell’est; lo fa la British Airways che conquista la Iberia e le rotte latino-americane. Così, mentre tramonta il Novecento, anche Air France e Alitalia provano a fondersi; Roma traccheggia, Parigi rilancia e spiazza tutti assorbendo gli olandesi di KLM.
Sembra fatta, Air France-Klm può competere con britannici e tedeschi, ma sempre a patto che lo stato garantisca una ciambella di salvataggio. Per Alitalia cominciano gli anni più bui. L’ipotesi di una vendita ai francesi riemerge nel 2006, caldeggiata dal governo di Romano Prodi, ma non sarebbe più un’intesa tra pari, perché la compagnia italiana è in caduta libera. Ci si limita, quindi, ad accordi tecnico-commerciali che saltano quando entrano in ballo gli arabi di Etihad. Il resto è cronaca.
Oggi
Nel frattempo, le condizioni economiche di Air France si sono deteriorate, il protezionismo nazionale viene ridimensionato, oggi si arriva a Parigi con una pluralità di vettori a basso costo ed efficienti, molti aeroporti sono ormai privati (Le Maire ha detto che il governo cederà anche la quota che possiede nello scalo parigino Charles de Gaulle) grazie anche a capitali stranieri. Insomma, l’intero modello del trasporto aereo si trasforma rapidamente in Francia come è già avvenuto in Italia.
Le parallele, a questo punto, finiscono per convergere verso un unico grande buco nero. Se le cose stanno così, il governo Macron interpreta la parte del bambino nella favola di Andersen il quale ha il coraggio di proclamare una semplice verità: l’imperatore ha già perduto tutti i suoi vestiti e va in giro tutto nudo. Che farà il prossimo governo italiano?