Detassazione, perché si comincerà dalle partite Iva
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Economia

Detassazione, perché si comincerà dalle partite Iva

Il governo deve ridimensionare le promesse da campagna elettorale e sceglie quali categorie favorire prioritariamente. E così si va verso una manovra graduale ma ragionevole, che sostiene le attività indipendenti ed è compatibile con le poche risorse disponibili.

Se un inizio di riforma fiscale vi sarà fin dalla legge di Bilancio per il 2019, esso riguarderà innanzitutto partite Iva e start-up (chi inizia una nuova attività). Più esattamente, sembra che il governo Conte sia intenzionato ad abbassare alcune aliquote Iva: 5 per cento per le start-up, 15 per chi fattura meno di 60 mila euro, 20 per chi fattura fra 60 e 100 mila euro.

Chi sperava in un tempestivo abbassamento delle aliquote Irpef, o addirittura si aspettava un'aliquota unica al 15, resterà certamente deluso. Come resterà perplesso chi aveva creduto (giustamente) che flat tax significasse aliquota unica. E tuttavia c'è molto di ragionevole in questo inizio dalle partite Iva, anziché dalle famiglie.

Perché è ragionevole iniziare dalle partite Iva

Ragionevole, tanto per cominciare, è abbassare le aliquote con gradualità: chi teme per la salute dei nostri conti pubblici, non può che rallegrarsi che l'abbassamento delle tasse avvenga poco per volta, senza assumere i rischi che una riduzione secca e senza adeguate coperture comporterebbe. Ragionevole è non dare priorità all'Irpef, perché una riduzione compatibile con le risorse disponibili avrebbe effetti impercettibili sui bilanci familiari (1015 euro al mese, secondo i primi calcoli), mentre una riduzione apprezzabile costerebbe decine di miliardi, e quindi dovrebbe essere attuata in deficit.

Ma l'elemento più ragionevole di questo approccio è un altro ancora: puntare sulle partite Iva significa anche lanciare un messaggio. Un messaggio che si può enunciare così: cari signori, il benessere delle famiglie dipende innanzitutto da quanti membri di una famiglia lavorano, e il lavoro non dovete solo cercarlo, o aspettare che vi piova dal cielo, il lavoro potete provare a inventarvelo voi. Aprire una partita Iva significa anche questo: capire che cosa siamo in grado di offrire, e decidere di metterci alla prova.

La diffusione del lavoro autonomo

In passato, la diffusione del lavoro autonomo è stata spesso associata all'arretratezza. L'idea era che, modernizzandosi, le economie potessero sempre più fare a meno di contadini, commercianti, artigiani, e che il destino cui quasi tutti erano destinati fosse quello di diventare lavoratore dipendente, come operaio, commesso, tecnico, impiegato, quadro, dirigente. Non era un'idea del tutto sbagliata, perché per certi versi le cose sono andate proprio così. Ma solo in parte, e non ovunque.

Alcuni Paesi hanno mantenuto un'elevata quota di lavoro autonomo, o hanno visto il diffondersi di attività dallo status incerto, né lavoro dipendente né lavoro autonomo. Si pensi, in Italia, alle cosiddette collaborazioni occasionali, alle collaborazioni coordinate e continuative, ai lavori a progetto, o all'universo dei servizi e lavoretti on demand, la cosiddetta gig-economy di cui i rider, che consegnano il cibo a domicilio, sono divenuti l'emblema. Ebbene, questo mondo è in crescita e non è certo tipico delle società arretrate

Una recente ricerca ha rivelato che negli Stati Uniti, il Paese più avanzato del mondo, vi sono qualcosa come 57 milioni di freelance, o lavoratori in proprio, più di un terzo della forza lavoro complessiva. La cosa più interessante, forse, sono le motivazioni di questi lavoratori. I freelance americani, della propria condizione apprezzano soprattutto la libertà di decidere di che cosa occuparsi, nonché la flessibilità nella pianificazione del lavoro. E, sorpresa, percepiscono il proprio lavoro come relativamente protetto, perché "avere un portafoglio diversificato di clienti è più sicuro che avere un unico datore di lavoro", che ti può licenziare in ogni momento.

No a misure che vanifichino la detassazione

Ecco perché notavo che partire dalle partite Iva, e da un ulteriore alleggerimento delle aliquote fiscali per chi adotta il regime forfettario, può essere un percorso ragionevole. Purché, naturalmente, non si vanifichi tutto con altre misure che vanno nella direzione opposta. Penso a norme che obblighino le aziende che utilizzano lavoratori freelance ad assumerli come lavoratori dipendenti. O all'eccesso di adempimenti: negli Stati Uniti, per esempio, non esiste il registro Iva, e anzi non esiste neppure l'Iva, sostituita da una sell tax (simile alla nostra vecchia Ige), compresa fra l'1 e l'11per cento, a seconda degli Stati.

Ma penso pure al cosiddetto reddito di cittadinanza (in realtà reddito minimo), che potrebbe avere l'effetto di spegnere o disincentivare l'aspirazione a un lavoro. Dal momento che i centri per l'impiego non saranno in grado di offrire posti di lavoro dipendente ai milioni di inoccupati che pretenderanno il reddito di cittadinanza, per i beneficiari del sussidio diventerà perfettamente razionale accomodarsi nella condizione di "poveri" inoccupati (a 780 euro al mese), contando sulla provvidenziale inefficienza della Pubblica amministrazione. Se le cose andassero così, anche una buona misura come un regime di favore per le partite Iva potrebbe rivelarsi inutile. A riprova che non conta solo fare buone leggi, ma anche evitare di accompagnarle con leggi di segno contrario, che ne vanificano gli effetti. 


(Articolo pubblicato nel n° 40 di Panorama, in edicola dal 20 settembre 2018, con il titolo "Detassazione. Il lavoro si fa sempre più autonomo perciò si partirà dalle partite Iva)

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Luca Ricolfi