Dipendenti pubblici, cosa prevede la riforma per i dirigenti
Ci saranno incarichi a tempo, valutazioni più serrate sull’attività svolta e tagli di stipendio per chi resta senza incarico
Rappresenta un vero e proprio giro di vite la riforma sui dirigenti pubblici che il governo si appresta ad approvare e che poi dovrà passare al vaglio del Parlamento. Nonostante le resistenze di ampi settori dell’amministrazione pubblica, alla fine il decreto che fissa regole più rigide nella valutazione e nella retribuzione dei dirigenti vedrà dunque la luce così come voluto dallo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi. D’altronde, la richiesta di una maggiore flessibilità sui conti fatta all’Unione, passa anche da una spending review che investa in maniera organica il settore pubblico, da qui la necessità di intervenire con rigore anche sul trattamento dei dirigenti. Ma vediamo nel dettaglio quali sono le misure più importanti messe a punto dal ministro della Pubblica amministrazione Marianna Madia e che, se confermate, dovrebbero andare a regime l’anno prossimo.
Ruolo unico, addio fasce
La novità che più di tutte è stata osteggiata è quella che prevede l’azzeramento delle attuali fasce di appartenenza dei dirigenti. Sarà infatti introdotto un ruolo unico, e i più di 500 dirigenti di prima fascia attualmente in carica dovranno, seppur con qualche gradualità, dire addio a tutti i propri privilegi.
Una graduatoria unica
La nuova organizzazione dirigenziale prevede che tutti i dirigenti sostengano e superino un corso oppure un concorso nazionale. In questo modo entreranno a far parte di una graduatoria unica, una sorta di grande elenco, dal quale le varie amministrazioni centrali o locali, potranno attingere, dopo opportune selezioni, per assumere nuovi dirigenti.
Valutazione
Altro elemento molto caratterizzante nella nuova riforma è quello riguardante la valutazione dei risultati, che sarà molto più puntuale e specifica. Il decreto prevede infatti una griglia quanto mai dettagliata con i vari aspetti dell’attività dirigenziale che saranno sottoposti a valutazione. Secondo il decreto poi la valutazione ottenuta di anno in anno inciderà almeno sul 30% della busta paga del dirigente, percentuale che nel caso di dirigenti generali potrà salire fino al 40%.
Incarichi a tempo
La riforma prevede poi un tetto alla durata degli incarichi: quattro anni rinnovabili una sola volta per due anni, sempre dopo una valutazione positiva. Addio dunque a qualsiasi forma di automatismo per gli oltre 30mila dirigenti interessati.
Senza incarico: stipendio ridotto
I dirigenti che non ottengono incarichi rimarranno metaforicamente parcheggiati nella graduatoria unica, ma dovranno fare i conti con un taglio della retribuzione, che resterà solo quella di base. Verranno quindi a mancare i trattamenti accessori che a seconda dei casi possono valere fra il 40 e il 70% dello stipendio totale. Inoltre, ogni anno di mancanza di incarico, comporterà anche un taglio del 10% della retribuzione di base.
Declassamento
Se il dirigente senza incarico non partecipa poi a un numero minimo di selezioni o resta senza chiamata per sei anni, uscirà dal ruolo. Per evitare tutto ciò, si potrà comunque richiedere preventivamente una sorta di declassamento, passando dalla posizione di dirigente a quella di semplice funzionario.
Dirigenti di prima fascia: l’ultimo bonus
Come accennato, le resistenze maggiori alla nuova riforma sono venute soprattutto dai dirigenti di prima fascia che con le nuove regole perderanno qualsiasi privilegio e dovranno concorrere con gli altri dirigenti nell’assegnazione degli incarichi. Per loro però, è stato previsto un ultimo bonus, una sorta di residuale corsia preferenziale. Per il momento infatti, quando si metteranno a bando gli incarichi secondo il nuovo regime, si dovrà ancora comunque riservare almeno il 30% dei posti proprio a chi ha già ricoperto nell’amministrazione pubblica un ruolo di prima fascia.