Dopo l'Ilva, tutte le crisi industriali ancora da risolvere
Da Alitalia a Bekaert, passando per Sulcis e Termini Imerese, sono ben 144 le vertenze ancora aperte
Dopo la soluzione della vertenza Ilva, che deve comunque ricevere ancora l’ok definitivo dal referendum dei lavoratori, c’è stato davvero poco tempo per festeggiare un risultato pure soddisfacente. Il panorama delle crisi industriali del nostro Paese è infatti drammatico, e per un tavolo di confronto che ottiene esito positivo, ce ne sono purtroppo centinaia che attendono, alcuni anche da anni, una possibile via d’uscita.
È stato lo stesso ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, a dare i numeri in un’audizione parlamentare di qualche tempo fa: secondo il vicepremier, sarebbero addirittura 144 i tavoli di crisi aperti e ben 189mila i lavoratori coinvolti.
Dall’Alitalia alla Bekaert, dal Sulcis a Termini Imerese, solo per citare alcuni dei casi più eclatanti, il lavoro del ministro Di Maio per trovare soluzioni occupazionali a migliaia di lavoratori, è solo all’inizio, e la soluzione del caso Ilva deve essere giudicato solo un buon viatico.
Una situazione che peggiora
Tra l’altro, scorrendo proprio i numeri forniti recentemente dallo stesso ministero dello Sviluppo economico si scopre che l’evoluzione delle crisi industriali nel nostro Paese è nettamente negativa, e in modo quanto mai preoccupante.
Nel 2012 i tavoli aperti erano infatti solo, si fa per dire, 119, e i posti di lavoro a rischio 118mila. La media 2012-2017 è di 146 tavoli aperti per 143mila dipendenti interessati. Dal 2016 al 2017 i lavoratori coinvolti sono stati 25mila in più, dal 2012 +62mila: un aumento che, indica il ministero, deriva dall'ingresso di alcune grandi imprese (come Alitalia e Almaviva) che in precedenza pur essendo interessate da difficoltà non marginali non avevano ritenuto di attivare un tavolo di confronto al Mise.
Ma anche, e questo bisogna riconoscerlo, dal potenziamento delle strutture del ministero che consente la gestione di più vertenze. Una magra consolazione però come detto, visto lo scenario con cui ci si deve confrontare. E vediamole allora nel dettaglio qualcuna di queste vertenze in corso, quelle più significative, visto che ci sono poi tante mini-crisi locali, che spesso sfuggono anche al monitoraggio mediatico.
Alitalia e Bekaert
C’è innanzitutto Alitalia, una crisi che si trascina ormai da qualche anno, e che dopo qualche mese di stallo, è nuovamente sotto i riflettori del governo, che vorrebbe mantenere il 51% ha spiegato il ministro dei trasporti Danilo Toninelli, e sulla quale sono in corso interlocuzioni.
Desta poi grande preoccupazione a Figline e Incisa Valdarno, in provincia di Firenze, il sito produttivo della multinazionale belga, Bekaert, dedicato ai rinforzi in acciaio per pneumatici, che dovrebbe chiudere definitivamente fra pochi mesi, il 31 dicembre 2018. In questo modo 318 lavoratori diretti e circa 100 dell'indotto già dal 4 ottobre sono destinati a perdere lavoro e reddito.
Termini Imerese, Iia (ex Irisbus) e Sulcis
C’è poi il caso della ex Fiat di Termini Imerese: 1.200 dipendenti, 750 dei quali ancora da ricollocare (dopo pensionamenti o persone che hanno trovato un altro lavoro). Dopo l'accordo con la Blutec che ha riconvertito lo stabilimento, e che si è impegnata a far rientrare gradualmente tutti, sono tornati al lavoro solo in circa 120.
E non è da meno la situazione dell’ex Irisbus della valle Ufita, in provincia di Avellino: era l'unica insieme alla Menarini di Bologna a costruire autobus in Italia: ora sono entrambe di proprietà della Industria italiana autobus (Iia), ma sono solo poche decine i lavoratori rientrati.
Per non parlare dell’Alcoa nel Sulcis, chiusa da cinque anni: Invitalia ha ceduto lo stabilimento alla svizzera Syder Alloys ma la fabbrica è ferma: deve partire una nuova trattativa sindacale su piano industriale e livelli occupazionali. Ed ancora, sempre nel Sulcis, Eurallumina, ferma anch’essa da cinque anni, con un panorama industriale che in terra di Sardegna si presenta in maniera desolante. Insomma, risolto il caso Ilva, di intese da trovare ne restano ancora tante, troppe, verrebbe purtroppo da dire.