Equitalia? Grazie, anche no!
Sempre più sindaci abbandonano l'agenzia per la riscossione tributi. Ma forse creano un danno al loro stesso Comune
Una riscossione di imposte dal volto più umano. È questo l'obiettivo per cui da qualche tempo a questa parte si sta creando una vera e propria spaccatura tra Equitalia e i circa 5.000 Comuni italiani che si affidano ai suoi uffici per il recupero di tasse non pagate. Un trend che sta investendo anche centri urbani di dimensioni enormi. È il caso di Milano, che per bocca del suo sindaco Giuliano Pisapia qualche giorno fa, apprezzando l’esempio di Torino, ha annunciato di avere allo studio l’ipotesi di internalizzare il servizio di riscossione, oppure di lanciare, magari in alleanza con altri sindaci, una società alternativa a Equitalia.
Una scelta che paradossalmente sembra penalizzare l'ormai tristemente nota efficienza di un’azienda a cui vengono però contestate proprio le modalità di intervento adottate. “Equitalia – ci spiega Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno e responsabile finanza locale dell’Anci – è stata dotata di poteri davvero straordinari. È l’unica società esattoriale in Italia che può emettere ruoli di pagamento. Tutte le altre devono rifarsi ad una legislazione che risale addirittura ad un regio decreto del 1910 che al massimo concede di utilizzare le cosiddette ingiunzioni fiscali, strumenti decisamente meno efficaci e più farraginosi da un punto di vista burocratico”.
MA QUANTE TASSE PAGANO GLI ITALIANI?
In sostanza dunque i sindaci, che vantano dai propri concittadini crediti che mediamente oscillano tra i 70 e i 400 euro e che fanno riferimento spesso a multe non pagate o versamenti arretrati della Tarsu, devono accettare che nei confronti dei propri contribuenti scattino modalità di riscossione troppo severe. “Si tratta di strumenti che vanno bene per combattere la grande evasione – fa notare Castelli – ma che quando vengono diretti verso semplici cittadini inadempienti, diventano assolutamente troppo duri e pesanti, in poche parole poco umani”. E aggiunge. “È come sparare con un bazooka contro un moscerino”.
Un accanimento che a cascata inacidisce l’animo dei contribuenti e fa perdere consenso politico ed elettorale. Di qui la scelta di molti sindaci di divorziare quanto prima da Equitalia. Decisione che però apre una serie di problemi non da poco. “Innanzitutto – sottolinea Castelli – con il recente decreto Salva Italia il governo ha previsto che Equitalia smetterà di esistere il prossimo 30 giugno 2013. Fino a quel momento però vengono congelate le procedure per adottare un nuovo sistema di riscossione. Quindi siamo in attesa che il governo ci dia via libera sul da farsi”.
E le cose da fare, una volta detto addio ad Equitalia, sono tre: internalizzare il servizio, affidarlo a una società in house controllata al 100% dal Comune stesso, oppure fare delle gare per affidare all’esterno la riscossione, con tutti i rischi che questo può comportare, come ha dimostrato la recente vicenda di Tributi Italia.
L’attuazione pratica di una qualsiasi di queste tre ipotesi però è a sua volta frenata da una serie di difficoltà.
Innanzitutto esistono forti limitazioni legislative dato che, fatta salva Equitalia, alcune norme sulla riscossione fanno riferimento a leggi che hanno più di 100 anni. “Per chi decidesse di internalizzare – dice Castelli – c’è il problema di dover avere in organico il cosiddetto ufficiale di riscossione, una figura professionale molto poco diffusa nei nostri uffici, visto che per essa non si fanno concorsi ormai da più di dieci anni”.
Andrebbe poi anche rivista la norma che al momento impone alla società di riscossione di far transitare la liquidità raccolta prima nelle proprie casse e poi in quelle del Comune. “Noi da tempo – attacca Castelli – chiediamo infatti che il denaro riscosso confluisca direttamente nelle cassa dei Comuni, e che siano poi questi ultimi a pagare alle società di riscossione gli aggi dovuti. In questo modo tra l’altro si eviterebbero anche truffe come quelle di Tributi Italia ”.
C’è infine un quarto elemento, il più delicato, che aleggia come uno spettro su tutta la vicenda che riguarda la riscossione dei tributi locali. “Bisogna essere onesti – avvisa Castelli – e ricordare che nella pancia di Equitalia al momento giacciono circa 11 miliardi di crediti non riscossi. Si tratta dei cosiddetti residui attivi, cioè tributi non ancora pagati che negli anni si sono accumulati e che nel caso Equitalia chiudesse potrebbero risultare inesigibili portando al rischio default numerosi Comuni”. Una vera e propria minaccia questa, che i sindaci dovranno dunque valutare con molta attenzione, prima intraprendere una qualsiasi altra strada per la riscossione delle imposte.