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(Ansa)
Economia

Esposito: «Per salvare il Pnrr serve una legge speciale e selezione degli obiettivi»

Il prof. Gianluca Maria Esposito, ordinario di diritto amministrativo alla Sapienza di Roma ci dà la sua ricetta per mettere al sicuro ed usare al meglio i soldi della Ue

Il Governo ha appena varato il nuovo Codice degli appalti, ma neppure questo provvedimento è sufficiente a risolvere il problema dei ritardi nella spesa degli aiuti europei: il Paese rischia decine di miliardi quando ne avrebbe più bisogno. La Commissione europea ha infatti rinviato l’erogazione dei 19 miliardi della terza tranche, perché l’Italia non ha le carte in regola.

Panorama.it ha interpellato il prof. Gianluca Maria Esposito, ordinario di diritto amministrativo alla Sapienza di Roma: «Troppi decisori e procedure bizantine. L’Italia rischia parte dei 200 miliardi del PNRR».

Professore, rischiamo veramente di perdere così tante risorse?

«Il rischio astrattamente esiste, ma in concreto evitabile. E’ fisiologico un restyling del Piano a metà percorso, mediante il riequilibrio tra soggetti, procedure e tempi sui quali c’è necessità di semplificazione e riqualificazione. Partiamo da un dato: il PNRR è sì un imponente piano finanziario, ma anche un colossale peso per l’apparato pubblico, incaricato di approvare e attuare progetti per oltre duecento miliardi entro il 2026, più altri duecento miliardi dei fondi strutturali con una scadenza di tre anni più avanti. Un onere particolarmente gravoso a causa di una governance multilivello, divisa tra migliaia di enti. Esorbitante è anche l’elenco di priorità, 52 obiettivi solo per questa terza tranche e ulteriori 96 entro l’anno, rispetto ad un’organizzazione che non è attrezzata».

A soffrire è soprattutto il livello locale, ci pare…

«Perché più della metà delle azioni è stata allocata a carico degli oltre ottomila comuni, che non dispongono del personale necessario, al punto che ad oggi solo l’1% dei progetti risulta completato. Questa è la situazione a valle, ma l’origine del problema parte dalla burocrazia di Bruxelles».

Che intende dire? L’Italia non riesce a spendere per colpa dell’Europa?

«Non esattamente. Tuttavia dobbiamo considerare che il PNRR, come tutti i fondi europei, è regolato da una disciplina eccezionalmente dettagliata e complessa. I regolamenti Ue sono formati di centinaia e centinaia di pagine, premesse, considerandi, vincoli immediatamente prescrittivi che limitano la discrezionalità degli Stati. Il loro contenuto incide in modo imperativo sulle programmazioni interne, che talora sono parziali riedizioni di piani europei, non sempre a misura delle diverse realtà nazionali e dei rispettivi legislatori e apparati esecutivi».

La crisi della spesa europea non riguarda solo l’Italia, comunque.

«Infatti non c’è un “caso” Italia, perché la crisi del recovery fund riguarda anche altri Paesi membri, alle prese con piani molto meno imponenti e complessi del nostro. Purtroppo il peso di questa incisiva programmazione comunitaria si avverte di più in Italia, dove l’amministrare per atti isolati, di stampo napoleonico, fa tuttora ombra al governo dei programmi. Programmi che, se approntati nella fase dell’emergenza come nel caso di specie, non sono mai definitivi e richiedono aggiustamenti in progress».

La vicenda del bonus edilizia è l’emblema di questo cortocircuito programmatico.

«L’Italia deve dare conto delle sue scelte all’Europa, soprattutto in materia di conti pubblici. Le condizioni stringenti poste dall’Europa alla spesa, che ad esempio hanno impedito il ricambio generazionale della PA, sono un freno alla spesa del PNRR, che si scontra con un numero esorbitante di enti e con l’inadeguatezza delle rispettive strutture amministrative. In questo senso l’origine dei problemi di questa fase è da ricercare anche a monte».

In pratica cosa non funziona del PNRR?

«Il fatto di essere stato adottato con una logica teorica da manuale europeo, senza tenere del tutto conto delle peculiarità e dei limiti della macchina decisionale italiana, che cammina su procedure lunghe ed incerte, con le quali è perciò temporalmente incompatibile parte degli obiettivi. Benché l’abbondante quantità di missioni, priorità, linee di azione, lo renda esteticamente allettante, ora il PNRR va semplificato, se si vuol evitare che rimanga un libro dei sogni».

Abbiamo tutti il sospetto di un’incognita temporale.

«Tra previsione e attuazione la forbice rischia di allargarsi nella eterna distanza tra mondo pubblico e sistema delle PMI, da cui dipende largamente il successo del piano. Distanza siderale rispetto all’organizzazione territoriale, che non è in grado di far fronte a prestazioni amministrative così eccessivamente gravose nel breve termine».

Il rischio di perdere le risorse, oggetto anche di un recentissimo confronto tra la premier Meloni e il presidente Mattarella, è conseguenza di una somma tra la complessità del PNRR e quella della burocrazia italiana?

«Esattamente. Per quanto possibile, il PNRR va ridotto nelle sue priorità e va affidato ad una governance più snella, in grado di compensare le criticità del sistema pubblico. Rispetto alla scadenza del 2026, è necessario approfittare di questa crisi per differenziare la fase di salvataggio, dei prossimi dodici mesi, da una fase a regime. Nell’immediato bisogna accelerare sulle grandi infrastrutture e opere cantierabili, e frattanto prepararsi alle azioni capillari, allo stato non concretamente attuabili».

Non dimentichiamo che operiamo sotto l’imperio del principio di sussidiarietà verticale, nato dal Trattato istitutivo dell’Europa.

«Ora spetta allo Stato centrale intervenire: occorrerà una legge speciale per disciplinare i procedimenti amministrativi del PNRR e mettere in sicurezza le sue ingenti risorse. Frattanto i comuni vanno dotati di personale adeguato, soprattutto gli uffici tecnici, per essere preparati ad intervenire nella fase successiva, e vanno attivati soggetti appaltanti ad area vasta, che mettano in rete buone pratiche».

Ma lo stesso problema si potrebbe ripresentare tra sei mesi, alla prossima scadenza del PNRR?

«Si, teoricamente. Ma il clima di collaborazione tra il governo Meloni e l’Europa è un segno positivo. L’idea di rinegoziare i contenuti del piano è la sola exit strategy. E’ stato appena approvato il decreto per la realizzazione di un’opera di interesse strategico nazionale, il ponte sullo Stretto di Messina: sappiamo quando avrà inizio, quando sarà conclusa, quanto costa. E’ uno schema da replicare per il PNRR perché nel negoziato con l’UE è determinante la garanzia di rispettare i tempi della spesa».

La Commissione europea attende garanzie sul rispetto dei tempi della spesa…

«Occorre prediligere grandi opere, anche regionali, meccanismi automatici, garanzia al credito per le PMI. Al ministero delle imprese sarebbe utile una misura di sostegno per le amministrazioni straordinarie, al fine di preservare il patrimonio produttivo del Paese messo a dura prova dalla pandemia. Poche ma strategiche finalità. Poche ma chiare regole del gioco».

Forse è giunto il tempo per la partecipazione da parte delle comunità e dei cittadini. Può essere utile alla fase di attuazione del PNRR?

«Assolutamente sì. La Commissione europea ha appena dato il via ad una mappa interattiva online per consentire ai cittadini europei di seguire in tempo reale l’avanzamento dei progetti sostenuti dal Recovery fund e attuati sul campo dagli Stati membri. Lo stesso può essere fatto dal governo centrale per rendere partecipi tutti i cittadini delle cose buone che si stanno facendo e per aumentare il senso di responsabilità, istituzionale e civico».

Sul punto siamo critici….

«Non dimentichiamo che in base all’art. 1 della Costituzione italiana, la sovranità appartiene al popolo, che ha il diritto e il dovere di esercitarla, soprattutto in una fase di ricostruzione e ripresa della Nazione come quella che stiamo vivendo».

*

Gianluca Maria Esposito, originario di Lauria (Pz), classe 1971, è ordinario di diritto amministrativo a La Sapienza di Roma. Studioso della macchina burocratico-amministrativa italiana, nel recente saggio Il governo delle programmazioni. Linee evolutive, (Il Mulino, 2019), ha analizzato l’incapacità programmatica del sistema amministrativo italiano causata dal groviglio di leggi e codici, di piani e programmi pubblici, quasi sempre a scapito delle amministrazioni locali.

Panorama.it Egidio Lorito, 04-04-2023

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Egidio Lorito