La Fed e la nuova strategia: l'impatto su euro e mercati
Yellen alzerà i tassi negli USA, ma non subito. Il dollaro forte potrebbe far slittare la decisione a settembre
Per capire le prossime mosse delle banche centrali gli economisti e gli analisti delle grandi banche si cimentano più con le parole che con i numeri. Nel comunicato di ieri, diffuso dopo l'attesa riunione della Fed, che ha segnato un punto di svolta nella strategia dell'istituto centrale guidato da Janet Yellen, è scomparso (come da previsioni) l'aggettivo "paziente" con cui fino al giorno prima la banca centrale aveva descritto il proprio atteggiamento verso la possibilità di un futuro rialzo dei tassi di interesse.
Che negli USA viaggiano rasoterra da oltre 6 anni, e cioè da dicembre 2008. Non utilizzare più quel termine, appunto, significa mandare un segnale ben preciso agli operatori sul mercato. E togliere gli ultimi dubbi: l'innalzamento, dunque, ci sarà, ma non è ancora chiaro quando sarà realizzato. Ogni riunione, da ieri in poi, potrà essere quella buona. In teoria.
In pratica, Yellen ha fatto capire che a fine aprile non accadrà nulla e ha aggiunto che la politica monetaria sarà di nuovo pienamente dipendente dall'andamento dei dati. Cioè azionerà il pulsante solo di fronte a un ulteriore miglioramento del mercato del lavoro (la disoccupazione è scesa al 5,5%, ma la partecipazione alla forza lavoro è insufficiente e i salari crescono poco) e a un ritorno del trend dell'inflazione verso il 2%.
EURO: QUANTO PUO' SCENDERE IL CAMBIO CON IL DOLLARO
IL PRIMO RIALZO
Quando arriverà, dunque, il primo rialzo? Le previsioni abbondano. Tra gli addetti ai lavori, il testa a testa è tra giugno e settembre. Per Mohamed El – Erian, ex numero due di PIMCO, il più grande fondo obbligazionario al mondo e attuale super consuente di Allianz, prima di settembre.
Il colosso mondiale dei fondi BlackRock (oltre 4.000 miliardi di dollari in gestione) e il fondo britannico Schroders propendono per fine estate (settembre), sottolineando comunque che la data precisa è meno importante del fatto che il percorso di normalizzazione, dopo il decollo, sarà graduale. A fargli cambiare idea, nelle ultime settimane, deve essere stato l'eccessivo rialzo del biglietto verde, che ora viaggia poco sopra la parità con l’euro.
LE CONSEGUENZE SU VALUTE E MERCATI
Già, il dollaro forte: rischia di rallentare le esportazioni delle aziende americane, a vantaggio di quelle del Vecchio Continente, frenando la ripresa americana. E questo spiega perché per quasi tre quarti della conferenza stampa la Yellen abbia parlato delle sorti del biglietto verde.
"Lo ha fatto da economista e non da policy - maker che ne può influenzare il corso, ma ha fatto comunque capire che il dollaro forte comincia a pesare sull’economia americana. C’è una certa strumentalità in questo ma c’è anche l’idea che una fase di tregua darebbe agli Stati Uniti la possibilità di riprendere fiato" scrive nella consueta newsletter di strategia Alessandro Fugnoli, esperto di mercati del fondo Kairos Partners.
Quale sarà, invece, l'impatto del cambio di strategia della Fed su euro e mercati? La divisa comune europea, dopo la mossa della Fed di ieri, oggi si è rafforzata leggermente, ma poi è scesa di nuovo. A detta degli analisti, il biglietto verde ha ancora spazio per fare meglio e continuare a mantenersi su questi livelli. E non è detto che fra due mesi non raggiunga addirittura la parità senza alcun intervento della Fed.
Diverso il discorso per l'euro, che al pari dello yen (moneta giapponese), sembra destinato a una progressiva e inesorabile svalutazione nei prossimi mesi, un po' per il QE avviato da Draghi a inizio anno e un po' per il rischio di una possibile uscita della Grecia dall'Eurozona.
Di certo c'è che il rialzo dei tassi negli USA genererà volatilità sui mercati e che, probabilmente, le "vittime" della prossima mossa della Fed saranno soprattutto le economie emergenti. A dirlo, poche ore prima della conferenza della Yellen, è stata il direttore generale dell'Fmi, Christine Lagarde, ricordando che nella primavera del 2013 l'annuncio "shock" sul tapering da parte dell'allora numero uno della Fed, Ben Bernanke, innescò nei mesi successivi fughe di massa verso i mercati sviluppati. Le banche centrali dei paesi asiatici sono avvertite.