Jerome Powell presidente Fed taglio tassi
(Ansa)
Economia

La Fed taglia i tassi di 50 punti: svolta storica, ma quali saranno le ripercussioni?

La Banca centrale americana inverte la rotta dopo anni. L'inflazione è calata, ma ora l'attenzione è sull'economia reale e sulle possibili conseguenze per Europa e Stati Uniti, in piena campagna elettorale.

Alla fine il taglio del costo del denaro è arrivato. Ed è stato consistente. Maxi taglio di 50 punti ieri da parte della Fed. Ora bisogna vedere quali saranno le conseguenze sugli altri dati economici, cruciali anche per la campagna elettorale degli Stati Uniti. Dal 2020 che la Banca centrale americana, guidata dal Jerome Powell, procedeva con rialzi progressivi dei tassi di interesse per combattere l’inflazione. Con tassi più alti, infatti, diventa più costoso fare un mutuo per comprare una casa, o aprire un finanziamento per avviare una nuova azienda e fare investimenti: il risultato è che i prezzi si raffreddano, l’inflazione scende ma l’economia tende a rallentare. È la stessa partita che, in Europa, ha giocato la Bce di Christine Lagarde.

Ora negli Usa (ma anche nella zona Euro) l’inflazione è scesa, tornando attorno al 2% (ricordiamo che nell’estate del 2022 si era arrivati su entrambe le sponde dell’Atlantico a superare il 9%. Molti analisti in questi mesi hanno osservato che l’impennata dei prezzi era dovuta soprattutto alla guerra in Ucraina, con i costi del comparto energetico schizzati alle stelle, e a fenomeni speculativi che innescavano una spirali di crescita a cascata su tutti i beni di consumo. Di qui la critica, anche molto dura alle banche centrali: avete combattuto contro il nemico sbagliato deprimendo l’economia reale. Ora siamo in un’altra fase. I prezzi sono scesi, molto difficile dire se per opera dell’innalzamento del costo del denaro o per uno scenario globale mutato. Ma tant’è. La domanda adesso è se l’economia reale si riprenderà oppure no.

La situazione qui è diversa tra Stati Uniti ed Europa. L’economia d’ Oltreoceano va piuttosto bene e infatti molti ritenevano che i tassi potessero essere lasciati a un livello di sicurezza anti-inflazione. In Europa, invece, la stagnazione è conclamata. Paesi con la Germania sono in recessione, con le conseguenze che ricadono anche sui partner. Come l’Italia che in Germania esporta e che infatti ha visto precipitare il dato dell’export. Per questo la pressione sulla Bce è forte. Un primo taglio c’è stato, più prudente rispetto alla Fed (-0,25%). Bisogna capire se ce ne saranno altri o se l’ossessione inflattiva prevarrà anche di fronte a una normalizzazione dei prezzi dell’energia e a un’economia asfittica.

Ma tornando negli Stati Uniti, la partita dei tassi in intreccia con l’ultimo, decisivo, scampolo di campagna elettorale per le elezioni del 5 novembre. Donald Trump ha intimato a Powell di non toccare i tassi fino al voto per non favorire, con eventuali conseguenze positive sull’economia reale, i Democratici, nonostante la Fed sia un’autorità indipendente e nonostante Powell sia stato messo alla guida della Banca centrale proprio da Trump. Del resto già nella campagna del 2016 contro Barack Obama, il tycoon aveva preso di mira per lo stesso motivo la allora presidente della Fed Janet Yellen.

E ora cosa succederà? Entro la fine dell’anno la Fed dovrebbe tagliare di un altro quarto di punto il costo del denaro, per continuare a sostenere l’economia che, seppure soddisfacente, mostra qualche segnale di rallentamento. È quello che in gergo viene chiamato “soft landing”, atterraggio morbido dopo un lungo periodo di politiche restrittive. Allo stato pare che gli Usa se lo possano permettere. Sembra più difficile la situazione da noi dove il taglio è cominciato, ma dove lo spettro che si aggira per l’Europa è quello della recessione.

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Cristina Colli