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ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images
Economia

Fincantieri-Stx: la vera sfida è sul progetto industriale

A settembre la vicenda italo-francese dovrà avere una svolta. Ma oltre al tema politico, è il mercato il vero protagonista. Come insegna il modello Airbus

Tanto si è detto, anche troppo, sulla battaglia dei cantieri navali tra Italia e Francia con al centro Fincantieri e Stx. C’è chi ha usato toni sportivo-militareschi a difesa dell’orgoglio patrio. C’è chi chiede a gran voce ritorsioni, bloccando affari e investimenti francesi in Italia. Per esempio le mire di Vincent Bolloré che controlla Telecom con il 25% posseduto da Vivendi e ha anche il 29,9% di Mediaset. In realtà, il finanziere bretone è stato già stoppato dall’autorità per le comunicazioni che gli ha imposto di scendere al 10% di Mediaset considerata un’azienda di interesse nazionale. Ma è sbagliato mettere tutte le uova in un solo paniere: media e telecomunicazioni sono una cosa, i cantieri un’altra.

È senz’altro vero che Emmanuel Macronha cambiato le carte in tavola, quindi da questo punto di vista ha ragione il governo italiano. Tuttavia, non spezzeremo le reni alla Francia. Si è aperta una trattativa che si svolge su due piani.

Gli accordi politici

Il primo livello è politico. L’accordo che consente a Fincantieri (posseduta dal minstero del Tesoro attraverso Fintecna) di controllare la Stx di Saint-Nazaire (nella quale il governo francese ha una quota del 33%) ha avuto il via libera di François Hollande quando a palazzo Chigi c’era Matteo Renzi, quindi in una fase politica diversa sia a Roma sia a Parigi. In Italia si vota tra pochi mesi e chissà chi andrà al governo. Dunque, fa senso che anche la questione dei cantieri navali, nei quali gli stati nazionali svolgono un ruolo determinante, venga affrontata ai massimi livelli politici, come parte di un negoziato complessivo tra i due paesi.

Il comunicato congiunto firmato da Pier Carlo Padoan e Bruno Le Maire, i rispettivi ministri dell’economia, contiene interessanti aperture anche ad accordi militari, quindi può essere una base di partenza. Ma non bisogna dimenticare mai il lato industriale.

La strategia industriale

La cantieristica navale è un settore in crisi. Giapponesi, coreani, e poi cinesi, hanno preso la leadership puntando sulle mega navi le quali, però, hanno fatto il loro tempo, tanto che fioccano licenziamenti a decine di migliaia soprattutto nei colossi coreani in ritirata. Clarksons Research, uno degli analisti più importanti in questo settore, calcola che a partire dal 2009 i cantieri nel mondo sono più che dimezzati. E per quelli ancora attivi gli ordini si sono ridotti.

Ci vorranno altri 7-8 anni perchè questa industria riparta. Ma la ripresa passa per un nuovo modello produttivo basato sulle navi intelligenti, cioè ad alto contenuto informatico. Ciò apre occasioni interessanti per produttori più piccoli come Fincantieri che con i suoi 4 miliardi di fatturato non raggiungerà mai Mitsubishi, Daewo, Hiunday. Il gruppo italiano, però, non può essere trainato solo dalle gigantesche navi da crociera, deve rafforzare e ampliare il portafoglio ordini.

Perché è importante

Da  qui l’idea di creare una sorta di "Airbus dei mari", cioè un gruppo di produttori europei in grado di diventare un campione su scala internazionale. Una proposta che Giuseppe Bono, il manager pubblico che guida Fincantieri da 17 anni, accarezza da tempo, ma, esattamente come avvenne per Airbus, non può che scaturire da un negoziato che coinvolga sia i governi nazionali sia le imprese. Fincantieri aspira a svolgere un ruolo leader che oggettivamente le spetta, tuttavia lo scenario è complicato.

Il gruppo aeronautico europeo era un accordo tra francesi, inglesi e tedeschi al quale vennero associati gli spagnoli, mentre gli italiani si tirarono fuori per il legame di Finmeccanica con Boeing. Un ruolo fondamentale per la nascita di Airbus si deve al leader bavarese Franz Josef Strauss (soprattutto quando nel 1969 Londra decise di ritirarsi, solo dieci anni dopo rientrerà British Aerospace) il quale nel 1970 divenne primo presidente del consorzio. Chissà se Macron vorrà fare lo stesso o magari Paolo Gentiloni: in fondo se l’Italia intende non solo difendere i propri interessi, ma rilanciare, l’ipotesi non sarebbe affatto balzana.

In ogni caso, i cantieri non si possono reggere solo con commesse pubbliche o militari. La portaerei costruita a Saint Nazaire, potenziale ammiraglia della futura marina europea, come suggerito dai francesi, non basta. Bisogna stare sul mercato, vendere, fare profitti. E proprio la lezione di Airbus lo dimostra. Non è stato facile intaccare il primato americano, ma poi il gruppo europeo è riuscito a sorpassare Boeing. Ecco perché i due piani oggi paralleli, il civile e il militare, il politico e l’industriale, debbono cominciare a convergere. Prima è meglio è.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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