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(Ansa)
Economia

L’impero del sole e del carbone

Quello dell'energia resta un problema mondiale dalla difficile soluzione e comprensione; con differenze politiche, sociali, economiche da paese a paese

E’ ormai entrata nel lessico quotidiano la definizione di impronta carbonica, “carbon footprint”: la misura che esprime il totale delle emissioni di gas ad effetto serra utilizzata per quantificare gli impatti emissivi, in materia di cambiamenti climatici, di quanto ci circonda: dai prodotti di uso quotidiano alla produzione di energia, all’impatto di un “like” in un social. La misura dell’impronta carbonica si ottiene attraverso una metodologia analitica nota come “Life Cycle Assessment (LCA)”, l’analisi del ciclo di vita che parte dall’estrazione delle materie prime costituenti il prodotto, alla sua produzione, distribuzione, uso e dismissione finale.

Qualche anno fa lo scandalo sulle emissioni della Volkswagen, anche noto come “Dieselgate”, portò alla scoperta della falsificazione della misura delle emissioni di automobili munite di motore diesel del gruppo Volkswagen vendute negli Stati Uniti d'America e in Europa. A scoprire l’imbroglio fu l'Agenzia statunitense per la protezione dell'ambiente, EPA, che contestò alla Volkswagen la violazione del Clean Air Act, la legislazione degli Stati Uniti sulla qualità dell'aria. Molti ricorderanno come fosse stato modificato il software della centralina per superare in maniera fraudolenta i test sulle emissioni a scapito dei vincoli ambientali.

Da anni l’IPCC, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, ci avvisa che, affinché il nostro Pianeta abbia un futuro, dobbiamo intervenire per contrastare i cambiamenti climatici. Ma soprattutto ci dice che oggi abbiamo a disposizione tecnologie e soluzioni per raggiungere gli obbiettivi climatici previsti dall’accordo di Parigi. Tra le tecnologie a nostra disposizione, secondo l’IPCC, per condurci verso un futuro a basse emissioni di carbonio ci sono le energie rinnovabili, eolica e solare.

Sulle tecnologie eoliche e fotovoltaiche sono stati realizzati e pianificati investimenti per molte centinaia di miliardi di dollari da parte di Europa e Stati Uniti eppure, ad oggi, non esiste un’agenzia governativa, europea o statunitense che, come l’EPA, certifichi, attraverso una metodologia unificata, l’intensità carbonica di queste tecnologie. Un’agenzia che raccolga e certifichi i dati necessari a realizzare un’analisi del ciclo di vita e certifichi l’impronta carbonica, ad esempio, dei pannelli fotovoltaici.

I report dell’IPCC si basano su studi che “stimano” l’impronta carbonica senza però uniformare i loro criteri di analisi del ciclo di vita. Talvolta queste pubblicazioni mancano di quella che viene definita “peer review”, una revisione paritaria che costituisce una valutazione critica della loro pubblicazione da parte di specialisti aventi competenze analoghe a quelle di chi ha prodotto l'opera. Ma soprattutto quello che lascia perplessi è che questi studi utilizzano, per i loro calcoli, dati provenienti da fonti che spesso non riflettono gli standard industriali globali o utilizzano mix energetici adottati in Europa o Stati Uniti che sono basati sull’energia idroelettrica o gas naturale.

Ma gli impianti che producono le tecnologie solari non sono in Europa e nemmeno negli USA bensì in Cina che possiede, di fatto, il controllo sull’industria solare globale. Oltre dieci anni fa gli impianti di produzione hanno iniziato a operare in regioni come lo Xinjiang e lo Jiangsu per produrre polisilicio “solar grade” ovvero con caratteristiche specifiche per essere usato nel settore fotovoltaico. La stessa Agenzia internazionale per l’energia, IEA, sottolinea come oltre il 75% dell'energia elettrica dello Xinjiang e del Jiangsu sia generata con il carbone: pare evidente che l’impronta carbonica dell’energia idroelettrica è cosa diversa da quella generata dalla combustione del carbone.

Su questo tema è chiarificante un esempio riportato da Enrico Mariutti nella suo studio “The dirty secret of solar industry” (The dirty secret of solar industry – Enrico Mariutti). Nel 2018 una pubblicazione condusse un’estensiva analisi del ciclo di vita dell’industria cinese del vetro. Ricordiamo che il vetro è un componente fondamentale del pannello solare. I dati, forniti dalla China Development and Reform Commission, condussero i ricercatori a stimare che il 70% dell’energia provenisse dal carbone e calcolarono che, anche utilizzando un 20% di vetro riciclato, l’impronta carbonica fosse di 0,68 kgCO2e/kg.

Nel 2022 altri ricercatori condussero la medesima analisi nell’industria del vetro del Regno Unito. Basata su dati forniti da Eurostat e Guardian Europe i ricercatori stimarono che l’energia provenisse dalla combustione di gas naturale e l’impronta carbonica fosse di 1,12 kgCO2e/kg peraltro in assenza di vetro riciclato. L’evidente discrepanza tra i dati rende bene la situazione di assoluta anarchia in cui ci troviamo.

Inoltre il problema maggiore viene dalle materie prime. Ogni miniera è un caso a sé stante: l’impronta carbonica di un chilogrammo di nichel estratto in Australia è sicuramente diversa se venisse estratto in Indonesia. L’impronta carbonica è condizionata da molteplici parametri che dipendono fondamentalmente dalle caratteristiche geologiche del minerale estratto. La stessa IEA conferma che se il nichel viene estratto da depositi di solfuri, come ad esempio quelli di Norilsk in Russia, la sua impronta carbonica è di circa 10 kgCO2e/kg ma se viene estratto da lateriti indonesiane la sua impronta carbonica sarà fino a sei volte superiore: 60 kgCO2e/kg.

(IEA, GHG emissions intensity for class 1 nickel by resource type and processing route, IEA, Paris https://www.iea.org/d

Inoltre questo valore può sensibilmente cambiare negli anni: solitamente le compagnie minerarie estraggono nella fase iniziale il minerale più ricco per rientrare rapidamente dei costi lasciando il restante per un secondo tempo. Naturalmente il consumo energetico e, di conseguenza, l’impronta carbonica di quel minerale è funzione della sua qualità nel momento in cui viene prodotto. Se si considera che l'attività estrattiva globale rappresenta già oggi il 40% del consumo energetico industriale mondiale, consumo dominato dai combustibili fossili, e destinato a restarlo per i decenni a venire, si capisce bene come questi dati possano influire in modo determinante sulle valutazioni effettuate.

Gran parte della promessa dell'energia solare pulita deriva dalla sua convenienza. Il futuro dell'energia solare fotovoltaica appare luminoso perché ha ottenuto miglioramenti sorprendenti dei costi in un periodo di tempo relativamente breve. Per essere chiari, probabilmente parte di questi progressi è avvenuta grazie ai legittimi progressi tecnologici e all'innovazione nella produzione. Le aziende cinesi hanno investito molto in fabbriche moderne e di grandi dimensioni che hanno raggiunto un'elevata efficienza di scala, aiutate anche da un sostanziale sostegno governativo sotto forma di sussidi diretti ed indiretti.

Ma l’esistenza di un mercato globalizzato richiede l’adozione di regole comuni, trasparenti e misurabili al fine non solo di evitare dinamiche distorsive del mercato ma soprattutto per definire le caratteristiche di sostenibilità ambientale di qualsiasi prodotto. Senza la realizzazione di uno standard internazionale unico di riferimento, che sostituisca quelli presenti a livello di singolo paese, che impedisca l’uso di dati non rigorosamente dimostrati, la percezione che rimane, come sottolinea Mariutti, è che la volontà non sia tanto di misurare l’impronta carbonica dell’energia “verde” ma solo di convincere che sia bassa.

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Giovanni Brussato