Foxconn, la fabbrica del'iPhone chiusa per una rivolta dei lavoratori
Si ferma per un giorno la Foxconn di Taiyuan che rifornisce i principali produttori di elettronica mondiali, tra cui la Apple
Alla fine si sono ribellati. Non è chiaro ancora se per protestare in modo esplicito contro il padre padrone che dà loro da mangiare e dormire ma, allo stesso tempo, li sottopone a turni di lavoro durissimi, ai limiti dell’umano. Oppure se quanto è accaduto sia una scintilla accesa per caso, come il naturale frutto di un’esasperazione covata in silenzio, di un malessere impossibile da esternare.
Fatto sta che alla Foxconn, il colosso cinese che dà lavoro a oltre 1,1 milioni di persone e che rifornisce i principali produttori di elettronica mondiale, tra cui la Apple in prima fila, il clima è tesissimo. E la tensione è sfociata in una rivolta o una rissa di massa dopo una lite che, alla fine, avrebbe coinvolto circa duemila dei 79 mila dipendenti della sede di Taiyuan, una delle tante di questo Leviatano dell’hi-tech. Il condizionale è d’obbligo perché la Foxconn non ha mai brillato per trasparenza, anzi ha costruito sul beneficio del dubbio il suo successo. Quello che si sa per certo che dei duemila lavoratori coinvolti alcuni sono finiti in ospedale; che è intervenuta la polizia in gran forze e in assetto anti-sommossa per sedare la rivolta e, dopo aver speso oltre quattro ore per chetare gli animi, ha fatto degli arresti; che nei dormitori dove tutto è successo si sono viste scene di devastazione, vetri rotti e sicuramente il panico non è mancato.
Per cercare di riportare il quadro alla normalità, l’azienda ha deciso di chiudere per un giorno la fabbrica, anche per condurre un’inchiesta sull’accaduto, come ha spiegato un portavoce. Perché, di nuovo, non è chiaro se si sia trattato di rissa o rivolta, e anche se a prevalere fosse la seconda ipotesi, non è detto che avremo modo di saperlo con certezza; nemmeno è chiaro se nella sede di Taiyuan si stia producendo o meno l’iPhone 5, il nuovo attesissimo melafonino della Apple. È vero che la Foxconn ha tra i suoi clienti grandissime multinazionali dell’elettronica, ma è vero pure che in questo periodo gli sforzi sono concentrati sulle forniture dello smartphone della mela, che già nei preordini ha battuto ogni record.
Anzi, c’è già chi teorizza che l’acutizzarsi delle condizioni precarie dei lavoratori, sia legato alla necessità di soddisfare domande di forniture sempre più ingenti. Già lo scorso marzo, peraltro, gli addetti di quella fabbrica avevano inscenato uno sciopero all’esterno del complesso. Questo, dunque, potrebbe essere un nuovo episodio che fa il paio con le recenti rivelazioni di un reporter infiltrato in un complesso per dieci giorni e che ha parlato di condizioni igieniche molto precarie e ritmi serratissimi alla catena di produzione, con una vigilanza tutt’altro che clemente con chi non è in grado di mantenerli. La Foxconn, peraltro, è tristemente famosa per l’alto numero dei suicidi tra i suoi dipendenti.
Pochi mesi fa Tim Cook, il numero uno della Apple, aveva visitato una delle fabbriche e aveva ottenuto promesse precise sulla riduzione dei turni e sul miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Nel giro di poche settimane ci sono state le rivelazioni del reportage e, ora, questa rivolta di massa. Che effettive dinamiche a parte, prova quanto la tensione sia rimasta alle stelle e quanto le promesse non siano state mantenute.
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