La Germania in recessione fa del male anche alla nostra economia
Secondo trimestre con il pil in calo per Berlino, mentre l'Italia cresce. ma il nostro export verso i tedeschi potrebbe risentirne
La Germania, quarta potenza economica del mondo dopo Usa, Cina e Giappone, ha preso il raffreddore e l’Italia, che per ora gode di buona salute, guarda con preoccupazione alle condizioni del grande vicino. Se poi a gettare lo sguardo oltre le Alpi è un imprenditore siderurgico lombardo, i timori aumentano, visto che i suoi principali di clienti di solito sono proprio i tedeschi.
Ma partiamo dalla Germania: l’istituto di statistica tedesco ha reso noto che nel primo trimestre dell’anno il Pil è calato dello 0,3%, una leggera contrazione che segue quella dello 0,5% registrata alla fine del 2022. Quindi, da un punto di vista tecnico due trimestri con il Pil in calo significano recessione. A far calare il Pil della locomotiva d'Europa è stata la frenata dei consumi, provocata a sua volta dall’inflazione che ad aprile viaggiava ad un tasso del 7,2%: le formiche tedesche preferiscono fare meno acquisti, ma probabilmente ha anche inciso il rallentamento dell’economia cinese.
Comunque i due colpi di freno della Germania potrebbero rappresentare solo un malessere passeggero: il ministero dell'Economia garantisce infatti che la ripresa ci sarà già entro l'anno e che a fine 2023 ci sarà il segno più davanti al Pil.
L’Italia se lo augura. La nostra economia sta crescendo più velocemente del previsto con un aumento del Pil nel primo trimestre dell’anno dello 0,5% rispetto al trimestre precedente e dell’1,8% rispetto ai primi tre mesi dello scorso anno. E a Roma si spera che la mini-recessione tedesca non ci guasti la festa, perché la nostra economia è fortemente legata a quella della Germania.
Simbolicamente basti pensare che emblemi del nostro Paese come la Lamborghini, la Ducati e proprio in questi giorni anche la ex Alitalia, sono sotto l’ala di gruppi tedeschi. Del resto i numeri parlano chiaro, la Germania è la principale destinazione delle nostre esportazioni e anche la maggior fonte delle nostre importazioni.
Sul fronte dell’export, nel 2022 abbiamo venduto ai tedeschi merci e servizi per oltre 77 miliardi di euro con un aumento del 15% rispetto all’anno prima. Dopo la Germania, i Paesi dove esportiamo di più sono Stati Uniti, Francia, Spagna, Svizzera, Gran Bretagna, Belgio, Polonia, Paesi Bassi, Cina. Ai tedeschi abbiamo fornito soprattutto prodotti metallurgici, macchinari e apparecchiature, autoveicoli, prodotti alimentari. La regione che fa più affari con la Germania è la Lombardia seguita a distanza da Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio.
A fronte di un export italiano verso la Germania di oltre 77 miliardi, le nostre importazioni da Berlino ammontano a quasi 91 miliardi di euro per un interscambio complessivo (import più export) di oltre 168 miliardi, in crescita del 18% rispetto al 2021. Anche per le importazioni la Germania è al primo posto, seguita da Cina, Francia, Paesi Bassi, Spagna, Belgio. Dai tedeschi acquistiamo soprattutto autoveicoli, macchinari, prodotti chimici e farmaceutici, prodotti metallurgici.
Al contrario, l’Italia non è il principale partner commerciale della Germania: siamo al settimo posto come destinazione delle merci tedesche e al quinto posto come fornitore. Il primo mercato di destinazione per prodotti e servizi tedeschi sono gli Usa, con una quota del 9,5%, seguiti dalla Francia al 7,4%. L’Italia è settima con il 5,6%. Sul fronte delle importazioni, i maggiori partner della Germania sono Cina, Paesi Bassi, Usa, Polonia e quindi Italia.
Per l’Italia avere la Germania come principale partner commerciale pone ovviamente dei rischi perché quando cala il Pil tedesco anche quello italiano ne risente. È inevitabile, dato l’inestricabile intreccio di rapporti economici, finanziari e commerciali tra i due Paesi. Ma questa volta noi abbiamo uno scudo che ci potrebbe proteggere: il Pnrr, la nostra assicurazione sulla vita. Come ha sottolineato la Corte dei conti alla spinta del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono affidati due terzi della crescita italiana da qui al 2026, e senza il Piano il tasso medio annuo dell’1,2% si ridurrebbe a un modesto +0,4%, abituale per l’Italia nel ventennio di stagnazione prepandemica. Quindi, diamoci dentro e spendiamo bene i fondi che l’Europa ci ha donato e prestato!
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