Gli Stati Uniti pronti a smembrare Google per limitare il monopolio
(Ansa)
Economia

Gli Stati Uniti pronti a smembrare Google per limitare il monopolio

Il Dipartimento di Giustizia americano verso misure drastiche, tra cui la separazione di Chrome e Android, per frenare il dominio di Google su ricerche online e pubblicità. Un’azione antitrust di portata storica che potrebbe ridefinire il futuro del settore tech.

Spezzatino di Google in vista. Il governo degli Stati Uniti vuole smantellare la big tech per limitarne il monopolio nel mercato online (ricerche online, pubblicità e sistemi operativi mobili). Potrebbe essere la più grande operazione antitrust degli ultimi decenni.

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, riferisce il Financial Times, ha inviato un documento di trentadue pagine al giudice federale Amit Mehta a Washington, chiedendo misure di cambiamento “strutturali e comportamentali”, per ridurre il potere monopolistico di Google. Tra le misure proposte vi è la possibilità di impedire al gigante della tecnologia di sfruttare la sinergia tra i suoi prodotti, come Chrome e Android, per consolidare il dominio nelle ricerche online. Un'altra proposta prevede la condivisione dei dati di ricerca con i rivali, riducendo così l'enorme vantaggio competitivo che Google detiene nell'addestramento di modelli di intelligenza artificiale generativa, un settore in rapida crescita. I procuratori stanno esaminando quattro aree critiche su cui intervenire: la distribuzione della ricerca e la condivisione dei ricavi, la generazione e visualizzazione dei risultati di ricerca, la scala e la monetizzazione della pubblicità online e, infine, la raccolta e l'utilizzo dei dati.

Tra le sanzioni più severe, c'è la possibilità di imporre lo smembramento di Google in più entità, separando il suo business delle ricerche dagli altri servizi, come avvenne con il caso Microsoft negli anni '90. Allora la battaglia legale fu persa, in appello, dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, che vede oggi, contro Google, una nuova opportunità per il governo degli Stati Uniti di dimostrare la propria determinazione a frenare il potere delle grandi aziende tecnologiche.

Oggi, Google gestisce oltre il 90% delle ricerche online a livello globale, una posizione che ha reso la sua società madre, Alphabet, una delle aziende più ricche e potenti del pianeta. Il controllo di Google si estende anche al mercato pubblicitario, dove utilizza i dati raccolti dalle ricerche degli utenti per alimentare la sua vasta rete di annunci digitali, da cui trae gran parte delle sue entrate. Inoltre, la presenza di Google con il sistema Android e il browser Chrome su miliardi di dispositivi ha permesso di rafforzare ulteriormente la sua posizione dominante.

L'indagine contro Google è il risultato di una lunga inchiesta iniziata nel 2019 dal Dipartimento di Giustizia, che ha accusato l'azienda di Mountain View di aver abusato della sua posizione dominante, violando le leggi antitrust degli Stati Uniti. L'accusa centrale riguarda l'uso di accordi esclusivi da miliardi di dollari con produttori come Apple e Samsung per mantenere il suo motore di ricerca come scelta predefinita su dispositivi mobile e computer, soffocando così la concorrenza. Ad agosto 2023, il giudice federale Amit Mehta aveva emesso una sentenza preliminare che confermava le accuse, stabilendo che Google avesse violato le leggi antitrust.

La risposta di Google al documento del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti non si è fatta attendere. In una nota, l'azienda ha dichiarato che le misure proposte potrebbero avere conseguenze negative per l'innovazione e la competitività, non solo negli Stati Uniti ma a livello globale. L'azienda ha anche sottolineato che la condivisione dei dati di ricerca con i rivali potrebbe compromettere la privacy e la sicurezza degli utenti, mentre la separazione dei suoi prodotti principali, come Chrome e Android, potrebbe rendere più difficile la gestione della sicurezza informatica. L'azienda si è detta pronta a portare la sua difesa fino alla Corte Suprema, in un processo legale che potrebbe durare anni.

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Cristina Colli