Le grandi manovre (e le guerre) nella finanza italiana
Dopo anni di relativa calma, è ripartito il risiko del credito. Mediobanca, Banco Bpm e Popolare di Sondrio sono finite nel mirino di Monte dei Paschi di Siena, UniCredit e Bper. Una guerra per banche con L’obiettivo più grande: Generali.
Guerra per banche. Un conflitto ricorrente nel sistema finanziario italiano. Come dimenticare la bollente estate del 2005 quando i protagonisti furono i «furbetti del quartierino»? «Parvenu» venuti dal nulla e nel nulla tornati, in qualche caso transitando anche dalle patrie galere. O come la doppia Offerta pubblica d’acquisto (Opa) del marzo 1999 quando UniCredit voleva conquistare Comit e Sanpaolo di Torino aveva fatto rotta su Banca di Roma. Velleitarismi. Ora la sarabanda ricomincia: con nuovi protagonisti e ben altra potenza finanziaria. L’insieme delle operazioni in corso a Piazza Affari vale circa 30 miliardi che potrebbero arrivare a cinquanta se l’offensiva di UniCredit su Commerzbank dovesse avere successo.
I tre mesi che hanno terremotato il sistema bancario italiano cominciano il 6 novembre scorso quando Giuseppe Castagna, capo di Banco Bpm, annuncia l’offerta pubblica di acquisto su Anima. Non lo avesse fatto forse le danze non sarebbero mai iniziate. Per concludersi il 6 febbraio con la conferenza stampa in cui Franco Papa, amministratore delegato di Bper, comunica al mercato l’intenzione di acquisire Banca Popolare di Sondrio con la benedizione di Unipol, grande azionista di entrambe. In 90 giorni accade quello che non si era mai visto o pensato. A stupire non è certo il blitz di Bpm su Anima. Tanto meno quello lanciato da UniCredit sulla stessa Bpm visto che della combinazione si parlava da diverso tempo. E nemmeno l’offensiva da 300 milioni Banca Ifis su Illimity, creatura di Corrado Passera che, inizialmente, non ha gradito ritenendo il prezzo di 3,55 euro, troppo basso. Poi però sono emerse perdite straordinarie per 53,5 milioni. A provocarle qualche cartolarizzazione di Npl pagata troppo cara e la maledizione di ogni fintech in difficoltà come Banca Sistema o Banca Aidexa. Insostenibili i costi della raccolta rispetto alle banche commerciali che godono di depositi stabili a remunerazione zero o quasi.
Ma la vera partita, quella che davvero cambierà il parametro del credito (e del potere politico e finanziario in questo Paese) è l’altra: il blitz del Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca e lo scontro per sostituire Philippe Donnet come amministratore delegato di Generali. Tutto si tiene fra Milano, Trieste e Roma a cominciare dai protagonisti in campo Francesco Gaetano Caltagirone, Francesco Milleri che guida con mano ferma Delfin, la cassaforte che raggruppa il tesoro di casa Del Vecchio. Poi il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, con la benedizione di Giorgia Meloni, coltiva un sogno fino a ieri proibito: violare il portone di Piazzetta Cuccia per scardinare un antico potere indocile e autoreferenziale. Nei decenni ci hanno provato in tanti senza successo: democristiani e socialisti. Da Giulio Andreotti a Bettino Craxi, fino a Romano Prodi. Ora la manovra potrebbe riuscire
Inquadrata così la guerra per banche che sta facendo la felicità di Piazza Affari (da novembre l’indice settoriale è cresciuto del 37 per cento) lascia la severa grisaglia della finanza per indossare i colori della politica. E non solo per il diretto coinvolgimento del governo. Sotto assedio c’è la tradizionale egemonia della finanza francese in Italia. I tedeschi comprano industrie non banche. La finanza americana e quella britannica preferiscono il merchant banking agli sportelli. Gli spagnoli non hanno mai trovato una strada come dimostrano i falliti tentativi del Santander sul Sanpaolo di Torino o del Bbva di contare qualcosa nella vecchia Bnl.
La finanza francese, invece, non conosce sconfitte. Come dimenticare il collegamento fra Enrico Cuccia e André Meyer, gran patron della maison Lazard? Un sodalizio su cui il banchiere siciliano ha costruito la governance in Generali attraverso la fiduciaria Euralux e in Mediobanca stessa. Ma anche a Parigi le anime sono diverse. Se la componente laica e massonica sta con Cuccia c’è chi la pensa diversamente. E così Giovanni Bazoli, alla fine degli anni Ottanta chiama il Crédit Agricole perché deve fermare l’offensiva del salotto buono della finanza che attraverso Gemina vuole conquistare il Nuovo Banco Ambrosiano. Cuccia definisce l’istituto guidato da Bazoli un cappotto che non veste bene perché il primo bottone è fuori posto. Quarant’anni dopo quel cappotto si chiama Intesa Sanpaolo. Nel 2006 il Crédit Agricole ottiene il divorzio portandosi in dote Cariparma e un ricco patrimonio di sportelli. Così alla fine è proprio il Crédit Agricole che diventa il mestolo di tutte le pentole in cui si cuoce il risiko.
Al punto che girano anche voci difficili da verificare di uno scambio tutto interno alla finanza transalpina. Bnp-Paribas potrebbe vendere Bnl per consentire davvero a Crédit Agricole di dar vita al terzo polo bancario italiano. In cambio otterrebbe più spazio a Parigi. Difficile sapere. Tuttavia resta confermata la centralità della «Banque vert» nelle partite di casa nostra. Secondo una ricostruzione sono stati proprio i francesi a dar fuoco alle polveri. Pare che non abbiano apprezzato il blitz di Castagna su Anima. Perché comprare un’altra società di gestione del risparmio quando l’Agricole possiede Amundi che sta cercando nuove alleanze visto che il contratto con UniCredit è in scadenza? Proprio questa insofferenza sarebbe arrivata alle orecchie di Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit. Da qui il cambio di priorità: la campagna di Germania per la conquista di Commerzbank si annuncia lenta e difficile. Più semplice la preda italiana, anche se l’offensiva su Banco Bpm sconvolge i piani del governo grande sponsor dell’integrazione fra la banca milanese e il Montepaschi per la conquista, insieme con Delfin e Caltagirone, di Mediobanca.
Sullo sfondo il confronto per il rinnovo del cda di Generali dove i protagonisti sono ancora loro: Alberto Nagel, ad di Mediobanca, Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Milleri, ceo di Delfin. Ora si è aggiunto UniCredit con una partecipazione dell’8 per cento. Al centro del confronto la conferma del mandato dell’ad Donnet. Il governo non ha gradito l’accordo con Natixis per spostare in un veicolo con sede ad Amsterdam 630 miliardi di risparmio degli italiani (che in realtà sarebbero 150, visto che il resto della raccolta è fatto all’estero da quella che è una vera multinazionale). La comune origine francese dei protagonisti dell’intesa ha accentuato la diffidenza.
Adesso le partite sono entrate nel vivo. Come finiranno? Castagna, ormai in dirittura d’arrivo su Anima, sta cercando di difendere l’autonomia di Banco Bpm con un road show su clienti e piccole aziende. Non sarà facile. Nel suo recente viaggio a Roma, Orcel ha spiegato agli ambienti vicini a Palazzo Chigi che se l’offensiva di UniCredit dovesse fallire Bpm diventerebbe a tutti gli effetti francese. Agricole controlla già il 15 per cento: il 9,9 direttamente e il resto (si dice) parcheggiato in Deutsche Bank, e può salire ancora fino al 20. Da quell’altezza cambiare la governance al prossimo rinnovo di consiglio sarebbe semplice e dunque Bpm verrebbe consegnata al colosso francese senza colpo ferire. Questa semplice considerazione però non ha ammorbidito la diffidenza del governo nei confronti dell’ad di UniCredit che, a quanto pare, aveva giocato l’ultima carta. Schierare la sua quota di Generali contro Mediobanca. La risposta è stata «Non serve». Nessun segnale di pace. Il via libera su Bpm dovrà superare il vaglio del Golden power. Saranno imposti diversi paletti. Alcuni rischiano di suscitare le obiezioni dell’Antitrust. Per esempio, è possibile che il Golden power chieda il mantenimento degli sportelli in certe aree mentre l’Antitrust potrebbe riscontrare un abuso di posizione dominante nella zona. Senza contare il fatto che non ci sono scadenze. Quindi il via libera potrebbe arrivare fra diverso tempo anche perché a Palazzo Chigi sono molto interessati a capire che cosa accade nella filiale russa di UniCredit.
Molto più semplice il percorso di Mps su Mediobanca. La banca senese può già contare sul 25 per cento che le verrà consegnato da Delfin e Caltagirone. Raccogliendo un altro 15 per cento con l’Ops arriverebbe al 40 per cento e potrebbe avere in mano la governance. L’ultima parola spetterà alla Bce che, al momento di accendere il disco verde, potrebbe promuovere delle riflessioni sul progetto. Niente però che possa fermare le novità. Casomai suggerimenti
Infine Generali. Il cambio della guardia al vertice sembra ancora rinviato. Caltagirone e Delfin, a quanto pare, si limiteranno nelle prossime settimane a presentare una lista corta per il consiglio senza indicare il nome dell’amministratore delegato. Vuol dire che Donnet va verso la conferma. Poi sarà il governo con il Golden power a dare l’ultima parola sull’accordo con Natixis.