Grecia contro Ue: perché le trattative sono ferme
I funzionari europei criticano le posizioni del primo ministro Alexis Tsipras che in Europa è collaborativo e in patria garibaldino. E tutto resta immobile
La tensione è evidente. Proprio come la frustrazione dei policymaker europei, che ormai ha raggiunto i massimi livelli. L’oggetto è sempre la Grecia, la cui crisi è amplificata da quella che diversi funzionari Ue chiamano “la doppia dialettica” di Alexis Tsipras, primo ministro ellenico. Fuori dai confini nazionali si dimostra disponibile al dialogo e costruttivo nel tentativo di trovare un’intesa con i creditori internazionali. In patria, invece, è tutto il contrario. Il tempo continua a passare e si avvicina sempre più la scadenza dell’estensione dell’attuale programma di salvataggio, il 30 giugno. Oltre quella data, si entrerà in territori ignoti.
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A che punto siamo?
Dopo il vertice della scorsa settimana, le speranze erano molto elevate. Dopo un dialogo fra Tsipras, Juncker e il numero uno dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, i funzionari europei non nascondevano che, sebbene ci fossero ancora “molte divergenze”, il clima in cui erano state condotte le trattative è stato “cordiale e positivo con non mai”. Del resto, il Brussels Group composto dal Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce), Commissione Ue e European stability mechanism (Esm) aveva appena concesso alla Grecia, sempre nell’ambito del completamento del secondo programma di salvataggio approvato nel 2012, di poter raggiungere un surplus primario minore rispetto alle richieste originali. Traduzione: limitare il consolidamento fiscale. E non di poco. Il surplus primario domandato era del 3,5% del Pil per l’anno in corso e del 4,5% per il prossimo, mentre la nuova proposta del Brussels Group è stata dell’1% per il 2015 e del 2% per il 2017. Ma Tsipras, dopo aver discusso con i vertici del suo partito Syriza e dopo aver parlato al Parlamento, ha deciso di rifiutare tale offerta, considerandola irricevibile ed estrema. Morale? Tutto come prima, peggio di prima.
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Lo spettro che aleggia
Il presidente della Commissione Ue, Juncker, sta ancora aspettando una contro-proposta da parte di Tsipras e del suo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis. E il tempo continua a passare, con lo spettro dell’insolvenza sovrana che aleggia sempre più vorticosamente sopra il Pireo. Certo, qualche giorno è stato guadagnato tramite l’accorpamento dei rimborsi al Fmi previsti per giugno, per complessivi 1,533 miliardi di euro, con scadenza al 30 del mese in atto. Un’opzione legittimamente esercitata dalla Grecia, che dal punto di vista legislativo è corretta, ma che non ha aiutato nelle trattative tra le parti. Come ha spiegato Bill Street, responsabile investimenti EMEA di State Street Global Advisors, “mentre il raggruppamento dei pagamenti è consentito in base alle norme del FMI e non è senza precedenti, il cambiamento evidenzia come la situazione della liquidità in Grecia sia disperata”. Tuttavia, secondo Street, “l’annuncio può essere stato finalizzato ad aumentare la pressione sulle istituzioni creditrici”. Allo stesso tempo, la situazione è ora di estrema precarietà.
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Ricatti e contro-ricatti
I lamenti del Brussels Group sono sempre più evidenti. Come fa notare uno dei funzionari dell’Euro working group, il team di lavoro dell’Eurogruppo, “c’è poco per essere positivi”. I motivi sono due. Da un lato c’è la “quasi totale impossibilità di dialogo fra le istituzioni europee e autorità elleniche”, dall’altro c’è “il mancato riconoscimento degli sforzi messi in campo finora dall’Ue per trovare una soluzione il più possibile duratura”. Nonostante Tsipras dica - lo ha ripetuto in Parlamento la scorsa settimana - che un accordo non è mai stato così vicino, a sentire i funzionari europei l’impressione è che sia proprio il contrario.
Preoccupa infatti il doppio metodo comunicativo del primo ministro greco. Collaborativo coi corrispettivi europei, oltranzista con compagni di partito. “È difficile negoziare così”, lasciano trapelare dall’Euro working group. Questo lo si capisce anche dal tono usato oggi da Gavriel Sakellarides, portavoce del governo Tsipras, il quale ha ribadito che “l’estensione del programma è qualcosa che non corrisponde alle esigenze attuali del governo” e che “occorre un’intesa per evitar altre mosse come quella dell’accorpamento dei rimborsi al Fmi”. In altre parole, Brussels Group e Grecia restano molto lontani.
C’è la quasi totale impossibilità di dialogo fra le istituzioni europee e autorità elleniche
Il tempo è tiranno
Il problema di fondo ora è il tempo. Tempo che scorre e che peggiora la situazione di Atene, già a corto di liquidità. L’intesa di massima per l’estensione del programma, la terza consecutiva dopo quella di due mesi di Antonis Samaras e dopo l’attuale di quattro mesi, deve arrivare al più presto, entro pochi giorni, in modo da poter aver i tempi tecnici per completare i dettagli e traghettare il Paese oltre l’estate. E questo sarebbe solo il primo passo verso un futuro sostenibile per Atene, dato che dopo aver siglato l’estensione occorrerebbe negoziare un terzo programma di salvataggio. Un piano che, come ricorda Bank of America-Merrill Lynch, è quasi scontato. Meno scontato, di contro, che si trovi un’intesa a breve. Se così non fosse, le vie sono quelle note: o nuove elezioni o crisi di governo con istituzione di un esecutivo di unità nazionale o insolvenza sovrana con possibile deragliamento verso un’uscita “accidentale” dall’eurozona.