Se la Grecia esce dall’euro: le conseguenze
Economia

Se la Grecia esce dall’euro: le conseguenze

Collasso bancario, svalutazione, calo del potere d’acquisto e disordini sociali. Per Atene sarebbe il peggiore scenario possibile

L'uscita della Grecia dall'euro "per disgrazia" potrebbe avvenire davvero. Lo ha sottolineato il ministro delle Finanze ellenico Guikas Hardouvelis a meno di due settimane dalle elezioni che vedono favorito il partito di sinistra Syriza. "Questa prospettiva - ha spiegato il ministro - non è necessariamente un bluff, una simile disgrazia è possibile e l'idea è quella di evitarla".

Perché la Grecia potrebbe uscire dall'euro


Sembra di essere tornati al 2012. Le banche dell’eurozona, ma non solo loro, stanno rispolverando e aggiornando i piani di contingenza per l’uscita della Grecia dall’euro. Che la fantasia si traduca in realtà è difficile ma, se si sta discutendo di come limitare l’impatto di una secessione della Grecia dalla zona euro, vale la pena ipotizzare cosa accadrebbe. Perché conoscere i rischi è il miglior modo per mitigarli.

Uscire, per ora, non si può

Partiamo da un concetto fondamentale. A oggi, uscire dalla zona euro è legalmente impossibile. Infatti, secondo l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, si può uscire (o meglio recedere) dall’Unione europea, non dall’eurozona. Una volta usciti dall’Ue, il Paese in questione potrebbe anche smettere di utilizzare l’euro come valuta e tornare a una divisa differente. Ma non solo. Uscirebbe anche, de facto, dal mercato unico europeo, e dovrebbe costruirsi una nuova relazione commerciale con il resto del mondo. Non è facile farlo se si ha un’economia differenziata, figuriamoci con un’economia più "limitata" come quella ellenica. 

L’euro è irreversibile

Il fardello sulle banche (non quelle italiane)

In Europa inoltre il sistema bancario è piuttosto frammentato. Dal 2011 in poi, con un’escalation che ancora non si è fermata, i Paesi dell’eurozona si sono fatti sempre più autarchici. Vale a dire che il debito francese è in mano, in prevalenza, ai francesi, quello italiano in mano agli italiani, quello greco in mano ai greci, e così via. Il tutto con la sola differenza della Germania e dei Paesi del cuore dell’area euro, come Austria e Finlandia, che continuano a rappresentare un porto sicuro per chiunque.

L’esposizione dei Paesi sulla Grecia è quindi molto ridotta rispetto al passato. Gli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), pubblicati lo scorso 7 dicembre e aggiornati a fine giugno 2014, parlano chiaro. Le banche, a livello globale, sono esposte per 79,096 miliardi di dollari. Quelle europee, sono esposte per 56,288 miliardi di dollari. Traduzione: in termini teorici, questo è uno dei costi che andrebbero sulle spalle delle banche. Nell’eurozona il Paese più esposto è la Germania, con 31,279 miliardi di dollari, mentre al secondo posto c’è la Francia, con 2,184 miliardi. Ma poi c’è il resto del mondo. E allora troviamo Stati Uniti d’America, con 18,309 miliardi di dollari, e Regno Unito, con 14,715 miliardi. Colpa dell’apertura di posizioni da parte di hedge fund e fondi d’investimento dopo la ristrutturazione del debito ellenico (il Private sector involvement, o Psi) del marzo 2012. Posizionata peggio della Francia troviamo anche la Svizzera, con un’esposizione di 4,071 miliardi di dollari. Anche per Berna i motivi sono gli stessi di Usa e Gran Bretagna. A sorpresa, l’Italia non è esposta: zero, secondo i dati della Bri. Per fare un paragone, nel marzo 2011 le banche tedesche erano esposte per circa 31 miliardi di dollari, stessa cifra, mentre le francesi per 67 miliardi. Il fuggi fuggi dalle banche elleniche si è fatto sempre più fitto. E queste sono rimaste con il cerino in mano.

Niente supporto della Bce. Ma dalla Cina

Ma proprio per questo se la Grecia uscisse dall’eurozona, si ritroverebbe senza il supporto della Bce. La banca centrale nazionale di competenza, quella ellenica, sarebbe diretta responsabile delle perdite delle banche greche. E considerando le possibili sofferenze che esse potrebbero patire sui mercati finanziari, per la banca centrale greca potrebbe essere impossibile limitare i danni. Di conseguenza, si troverebbe a dover negoziare swap in valuta estera (sì, anche l’euro sarebbe considerato valuta estera) in modo da avere una stampella di liquidità assistenziale.

Una mano, su questo versante, potrebbe arrivare dalla Cina, che tramite la propria banca centrale sta erogando prestiti come se fosse il Fondo monetario internazionale (Fmi). Ma ogni aiuto fornito ha un costo. Nel caso in questione, è probabile che la Cina chieda concessioni su infrastrutture et similia, come recentemente fatto con l’Equador. Do ut des in salsa sino-tzatziki. Sullo sfondo il collasso delle banche, che sarebbe il primo passaggio, quello più pesante a livello nazionale e internazionale. A esso si aggiungerebbe il cambiamento dei sistemi di pagamento fra istituti bancari, non meno complicato. Altri costi.

La ridenominazione

Poi, c’è il problema della ridenominazione dei contratti posti in essere. Anche in caso di secessione dall’euro, le vecchie obbligazioni, sotto la disciplina legislativa internazionale (ovvero la maggior parte secondo i calcoli di UBS), dovrebbero essere ripagate con la vecchia valuta. Per farlo, la Grecia dovrebbe indebitarsi, dato che la nuova valuta, se prendiamo a esempio il passato, sarebbe probabilmente più debole dell’euro. Il debito pubblico, per l’appunto, dovrebbe essere finanziato in un qualche modo sul mercato obbligazionario. Ma un investitore oculato, ovvero la maggior parte, chiederebbe alla Grecia un premio per il rischio maggiore rispetto al passato. Come mai? Perché senza il cappello protettivo della Bce sarebbe troppo rischioso prestare denaro ad Atene. Ciò significa maggiore richiesta di rendimento a ogni emissione obbligazionaria, che significa più interessi passivi sul debito, che significa una più elevata esigenza di rifinanziamento l’anno successivo. Un circolo vizioso incapace da chiudere.

Nessuno di noi dice che dobbiamo uscire dall’euro, come invece dice Syriza

E la svalutazione?

La svalutazione è stata solo accennata. Ma è uno spauracchio che fa intimorire chiunque. Basta ricordarsi cosa accadeva in Italia prima dell’introduzione dell’euro. Quando l’economia rallentava, arrivava una manina (nemmeno troppo invisibile) che svalutava la lira. Ma nel caso della Grecia sarebbe diverso. Secondo gli analisti di Goldman Sachs la svalutazione della dracma contro l’euro potrebbe essere del 40-50% solo nel primo anno, per poi ridursi al 30% dal secondo anno, per un orizzonte temporale di dieci anni. In altre parole, l’inflazione potrebbe arrivar in breve tempo a doppia cifra, il potere d’acquisto annientato, l’economia ellenica sarebbe distrutta e diventerebbe preda per tutte le imprese estera con una buona dotazione di liquidità. Con buon gioco dei nazionalisti, che potrebbero farsi largo in un Paese più socialmente devastato di quanto non lo è già ora. 

Il contagio

E poi ci sarebbe la reazione a catena. Se l’eurozona lascerà andare la Grecia, che immagine darà di se stessa? Ancora una volta, agli occhi degli investitori internazionali si porrebbe la questione che ha portato alla quasi disintegrazione dell’euro nel giugno 2012: che credibilità ha l’area euro? Assumendo il Grexit, è poco probabile che avvenga nell’arco di poche ore. Pochi giorni sì, ma poche ore no. Le banche globali quindi avrebbero tutto il tempo di prepararsi alla tempesta, chiudendo le posizioni sia sulla Grecia sia sul resto dell’eurozona a esclusione della Germania. Il tutto in attesa dell’annuncio da parte delle autorità di Grecia e Ue. Così, Atene sarebbe ancora più isolata. Sola con il suo debito e la sua nuova valuta, poco credibile e meno attraente. E lo stesso sarebbe per la zona euro, che direbbe de facto al mondo intero che l’unione che ha costruito a fatica è fatta per essere rotta. Non proprio una immagine eccellente.

Come mitigare i rischi

Può il mondo gestire questo rischio? Secondo Jonathan Loynes, capo economista europeo di Capital Economics, “non è chiaro se i cuscinetti esistenti siano sufficienti a prevenire che l’uscita della Grecia possa scatenare un collasso più grande delle aspettative attuali”. Non solo. “È perfino discutibile che l’economia greca possa avere dei benefici duraturi e sostenibili”, ha detto Loynes. Troppo elevata la svalutazione, troppo onerosa la ridenominazione, troppe grande il fardello da sopportare per il sistema bancario. A tal punto che secondo Eric Dor, direttore della ricerca economica della IÉSEG School of Management, per la Germania potrebbero esserci costi complessivi pari a 56,5 miliardi di euro, o 699 euro per residente, per la Francia 42,4 miliardi, o 644 euro per ogni francese e per l’Italia circa 37,3 miliardi. Inestimabili, invece, i costi per la Grecia. Non proprio cifre irrisorie.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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