La guerra sull’austerity sarà vinta da Berlino, non da Parigi
La Francia tenta lo scontro contro il rigore tedesco, ma le armi che ha sono poche e non si possono commettere gli stessi errori del patto di Maastricht
Il nuovo fronte anti-austerity aperto dalla Francia potrebbe essere più debole di quanto s’immagini. La scelta francese di sforare il tetto del 3% nel rapporto fra deficit e Pil era nell’aria. Così come è quasi scontata la decisione ultima della Commissione europea, che potrebbe aprire una procedura d’infrazione per deficit eccessivo. La flessibilità di bilancio, dicono a gran voce i policymaker Ue, già esiste e non si può rallentare il processo di consolidamento fiscale esistente. Ne va della sostenibilità nel lungo periodo e della fiducia degli investitori internazionali.
Non chiederemo altri sforzi ai francesi. Il Paese rifiuta l'austerità
L’affronto
Quando il primo ministro transalpino Manuel Valls ha comunicato che l’intenzione era quella di andare oltre i parametri del Fiscal compact, a Bruxelles hanno storto il naso. “Non chiederemo ulteriori sforzi ai francesi. Questo perché il governo adotta la serietà di bilancio per rilanciare l’intero Paese, ma rifiuta l’austerità”, ha tuonato il ministro delle Finanze, Michel Sapin. Secca la replica dei vertici europei. Jyrki Katainen, vice presidente della Commissione con la delega agli Affari economici e monetari, ha ricordato che le regole esistenti devono essere rispettate. Parole più pesanti sono arrivate da Jeroen Dijsselbloem, capo dell’Eurogruppo: “La Francia deve lavorare più duramente. Ha avuto due anni in più quando a noi (il riferimento è all’Olanda, paese di origine di Dijsselbloem, ndr) ne hanno dato uno solo”.
Parigi ha avuto due anni in più rispetto all’Olanda per mettere a posto i conti
La flessibilità già elargita
In effetti, le concessioni fatte a Parigi negli ultimi anni sono diverse. Dal pareggio di bilancio strutturale posticipato a una più lenta riduzione del rapporto debito/Pil, l’Eliseo ha avuto più tempo a disposizione per mettere in sicurezza i propri conti pubblici. Le aperture sono arrivate grazie agli sforzi compiuti sul fronte della riduzione della spesa pubblica, ma il sentiero che porta alla virtù è ancora lungo. Parigi chiede di poter spendere di più in modo da alimentare l’economia interna, che sta dando segni di stagnazione. Bruxelles però ricorda che sono ancora numerose le sacche di spesa inefficiente da cui trarre risorse. “Nessuno parla di ulteriore austerità, ma solo di razionalizzazione”, fa notare un alto funzionario della Commissione Ue. Ma la Francia non ci sta, complice una storica ritrosia a vedersi espropriato il diritto di avere il pieno controllo sulle finanze pubbliche.
Sono un commissario Ue, non un ministro francese. Faremo ciò che deve essere fatto
Il ruolo di Moscovici
In quella che la stampa italiana ha subito definito come una delle più importanti battaglie per il futuro dell’eurozona, non deve essere dimenticato il ruolo di Pierre Moscovici, commissario Ue all’Economia. Il francese è tirato per la giacchetta dall’Eliseo, ma lui, parlando oggi di fronte al Parlamento europeo, ha già ricordato che lui farà ciò che deve essere fatto. “Sono un commissario Ue, non un ministro francese”, ha detto. “Non c’è scelta, si aprirà una procedura d’infrazione per chi viola le regole”, ha aggiunto. In altre parole, se Parigi vuol alzare la voce può anche farlo, tanto il risultato non cambia. Anche perché, secondo Moscovici, le regole fiscali dell’Ue non sono rigide e flessibilità non vuol dire che ognuno può interpretarle come meglio crede.
I tentativi italiani
E l’Italia? Anche Roma ha optato, seguendo Parigi, per una scelta unilaterale. L’obiettivo del pareggio di bilancio strutturale, ha detto il Tesoro, sarà raggiunto nel 2017. Vale a dire con due anni di ritardo rispetto a quanto promesso. Il motivo, secondo il ministro dell’Economia, è da ricercarsi nel deterioramento della congiuntura. Un peggioramento tale da invocare le “circostanze eccezionali già previste dalle regole Ue per rallentare l’aggiustamento strutturale del bilancio”. Un tentativo di agganciarsi al treno francese, che però rischia di infrangersi presto contro la realtà della politica fiscale Ue. Su Le Monde già si parla di fronte italo-francese contro la Germania, ma i distinguo devono essere fatti. Sul mero piano delle riforme strutturali, Roma non è posizionata meglio di Parigi, come ha dimostrato un recente studio della Commissione.
La flessibilità di bilancio già esiste nei patti attuali
La risposta della Bce
“La flessibilità è già presente negli attuali patti”. È questo il mantra sia del cancelliere tedesco Angela Merkel sia del presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi. Un concetto che può sembrare strano, o troppo dogmatico, ma che è funzionale al pieno ritorno della fiducia nell’eurozona da parte degli investitori internazionali. Dopo i continui sforamenti dei parametri di Maastricht (analoghi a quelli attuali, ndr) nei decenni successivi alla sua adozione, nel 1992, l’area euro deve ripartire da regole precise, condivise e rispettate da tutti. È questo il motivo per cui Bruxelles, così come la Bce e la Germania, non sono disposte a tollerare nessuna deroga ulteriore, se non in casi eccezionali. E quello francese non pare tale.