I dati confermano come i Fondi Pensione di categoria siano vantaggiosi
Il report Annuale "Investitori Istituzionali Italiani" di Alberto Brambilla mostra come i rendimenti siano sempre un affare
Conviene dirottare parte dello stipendio nei fondi pensione di categoria? La risposta è sì non solo per i vantaggi fiscali, ma anche perché i rendimenti dei fondi stanno decisamente migliorando: nel 2019 hanno messo a segno una performance media del 7,2%, contro un'inflazione dell'1%. Bene sono andanti anche i fondi aperti, cioè quelli a cui può aderire chiunque, con un rialzo dell'8,3%.
Questi risultati sono contenuti nel Report annuale "Investitori istituzionali italiani: iscritti risorse e gestori per l'anno 2019" realizzato dal Centro studi e ricerche di Itinerari previdenziali presieduto da Alberto Brambilla. Uno studio di 90 pagine che effettua un'approfondita radiografia sugli investitori istituzionali che operano nel welfare contrattuale (fondi pensione negoziali, preesistenti e forme di assistenza sanitaria integrativa), delle casse privatizzate e delle fondazioni di origine bancaria.
Di chi si parla
Lo studio mette sotto la lente i fondi pensione negoziali (come Cometa dei metalmeccanici), i fondi pensione preesistenti (avviati in passato da alcune grandi aziende e banche, come Ibm o Banca Intesa), le casse e i fondi di assistenza sanitaria integrativa; i sistemi privatistici con i fondi pensione aperti, i Pip (piani individuali pensionistici, offerti da società private) e le assicurazioni; le casse di previdenza professionali che svolgono la funzione previdenziale di primo pilastro e le fondazioni di origine Bancaria, che operano nel welfare territoriale e di prossimità. In tutto si tratta di 374 investitori istituzionali.
Le dimensioni
Il patrimonio di questi investitori istituzionali è aumentato dai 142,85 miliardi di euro del 2007 ai 260,68 miliardi di euro del 2019, con un incremento dell'82,5%. Per quanto riguarda in particolare la previdenza complementare, cioè il sistema dei fondi pensioni chiusi (di categoria) e aperti, il nostro Paese si classifica secondo gli ultimi dati Ocse al 14° posto su 36 Paesi per patrimonio gestito, molto vicino a Israele, subito dopo la Germania e prima del Cile. In testa nella classifica ci sono gli Stati Uniti (27.549 miliardi di dollari), il regno Unito (2.809) e il Canada (2.524).
I rendimenti
"Nel 2019" si legge nel rapporto "tutti gli investitori istituzionali hanno ottenuto ottimi rendimenti recuperando ampiamente i risultati negativi dell'annus horribilis 2018 ascrivibili al generalizzato ribasso dei mercati finanziari". I migliori risultati sono stati ottenuti dai Pip investiti in unit linked con un +12,2%; seguono i fondi aperti con un +8,3%; i fondi negoziali segnano un +7,2%, seguiti dalle fondazioni bancarie con un ottimo +6,5% e dai fondi preesistenti con il 5,6%. I parametri inflazione, Tfr (trattamento di fine rapporto) e media quinquennale del Pil, aumentati rispettivamente del 1%, 1,5% e 1,9%, sono stati ampiamente superati. Va inoltre tenuto presente un dato importante: negli ultimi dieci anni, il rendimento medio annuo dei fondi pensione negoziali è stato del 3,6% mentre il Tfr ha reso il 2 per cento annuo.
La "botta" del Covid sui portafogli
Quest'anno ottenere gli stessi risultati sono sarà facile, come ammette lo stesso Brambilla: «Il 2020 era iniziato sulla stessa scia dell'anno precedente, almeno dal punto di vista delle performance dei mercati finanziari per incappare poi nella battuta d'arresto causata dal Covid-19, che ha penalizzato in modo generalizzato tutte le asset class». Una situazione per nulla semplice che renderà difficile battere i rendimenti obiettivo: «Proprio per questi motivi è in corso un lento processo di variazione dell'asset allocation e delle tipologie di gestione, sempre più ad alto valore aggiunto, spesso non legate a benchmark ma a obiettivi di rendimento. In questo contesto, si inserisce ad esempio il progressivo aumento degli investimenti in fondi d'investimento alternativi e real asset». Pur rimanendo in alcuni casi preponderante, diminuisce invece l'investimento in titoli di Stato e, in linea generale, nel reddito fisso, mentre aumenta per l'appunto l'affidamento delle risorse a gestori sempre più specializzati e con strategie innovative e diversificate.
Chi gestisce i soldi
In una tabella dello studio sono elencati indica i primi 10 gestori dei fondi negoziali, classificati per ammontare delle risorse gestite. Eurizon si mantiene in prima posizione, mentre Amundi con circa 200 milioni in meno, scende al terzo posto; Blackrock sale al secondo e Candriam al quarto, seguita da Credit Suisse e UnipolSai. Dal punto di vista della quota, questi primi 6 gestori detengono quasi il 50% del mercato dei Fondi Negoziali.
Pochi investimenti nell'economia italiana
Nel rapporto è contenuta una critica ai fondi pensione, che dovrebbero, secondo Brambilla, investire di più nell'economia reale: "A impressionare non positivamente è sicuramente l'esiguità degli investimenti dei fondi di natura contrattuale, in gran parte alimentati dal Tfr 'circolante interno' alle aziende e che, quindi, è e dovrebbe essere la prima e principale forma di sostegno all'economia reale. Dal 2007 alla fine del 2019 ai fondi pensione e al fondo gestito dall'Inps sono confluiti circa 140 miliardi di Tfr sottratti alle imprese italiane, alle quali ne sono tornati mediamente poco più del 3% l'anno, che possiamo stimare in circa 33 miliardi di euro: si tratta ovviamente di dati su cui riflettere, anche per le loro ripercussioni sia sull'occupazione sia sulla produttività e, quindi, sullo sviluppo del nostro Paese".
Attenzione all'ambiente e al sociale
Da un sondaggio condotto dal Centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali in occasione della redazione del Settimo report, emerge che circa la metà degli investitori che hanno partecipato alla ricerca (63 tra fondi pensione negoziali e preesistenti, fondazioni di origine bancaria e casse professionali) adotta già oggi una politica di investimento sostenibile e l'88% di tutti i rispondenti intende includere o incrementare in futuro una strategia che tenga conto dei cosiddetti fattori Esg (Environmental, Social and Governance), in aumento rispetto all'80% dello scorso anno. Di particolare interesse le motivazioni alla base di questa scelta: "fornire un contributo allo sviluppo sostenibile (ambientale e sociale)" resta il principio generale indicato dalla stragrande maggioranza degli investitori istituzionali (88%) seguito dal sorprendente "ottenere rendimenti finanziari migliori" (35%).