Ci raccontano che nel 2030 l'Ilva sarà bellissima senza dirci però come sarà il 2023
Nelle parole dei dirigenti i progetti ed i piani decennali capaci di mettere insieme produzione e difesa dell'ambiente. Ma nessuno parla dell'oggi
“Come si fa a passare da 3,7 milioni di tonnellate di acciaio prodotte a 5,7 milioni?” Chiedeva il 1 giugno 2022 Rocco Palombella segretario generale della Uilm.
“Sono infondate le voci che non arriveremo a quella cifra” rispondeva l’amministratore delegato Lucia Morselli.
L’obiettivo di 5,7 milioni di tonnellate nell’anno in corso era stato presentato dall’azienda a sindacati e governo il 10 marzo 2022 nelle slide “confidenzial” (ma che noi abbiamo visionato) sulle Previsioni 2022.
Ma tra Palombella e Morselli, dopo 7 mesi, possiamo dire che ha avuto ragione il primo, e nel 2022 Ilva ha prodotto poco più di 3 milioni di tonnellate d’acciaio. La metà di quanto è autorizzata a fare.
Le ragioni sono diverse, e non certamente imputabili al management.
Il calo della domanda e dei prezzi, l’aumento delle materie prime, il rincaro vertiginoso dei costi delle bollette, un incrocio di eventi avversi sul mercato dell’acciaio addirittura superiori a quelli della pandemia. A questi va aggiunto il problema atavico di Taranto: l’ostilità demagogica degli enti locali che, anche se nel pieno rispetto delle prescrizioni e dei limiti ambientali, sono rimasti fermi al 2012 quando di tonnellate Ilva ne produceva 10 milioni e senza prescrizioni.
Con loro la magistratura, che tiene ancora sotto sequestro l’area a caldo e nell’ultimo provvedimento ha scritto nero su bianco che nessuna legge dello Stato è sufficiente a garantire la continuità produttiva dello stabilimento.
Per superare tutti questi ostacoli è intervenuto il governo Meloni con un decreto cui ha lavorato il Ministro Urso che in soli tre mesi ha acquisito una conoscenza del dossier e concretezza nell’affrontarlo che non si vedeva da anni, abituati al “blablabla, salute e lavoro, acciaio green, decarbonizzazione ecc ecc” di pd e 5 stelle. Tutto è partito dalla linea politica, esplicitata dal Presidente del Consiglio nell’ultima agenda Meloni del 2022: “vogliamo che Ilva torni a essere la più grande acciaieria d’Europa”.
Il decreto dunque, con l’obiettivo primario di aumentare la produzione rispetto agli ultimi due anni, offre una base di liquidità finanziaria, reinserisce lo scudo penale, e supera i paletti della procura in caso di dissequestro. Ricordiamo infatti che non solo questi non solo rappresentava una sospensiva alla vendita degli asset (ancora di proprietà dell’amministrazione straordinaria) ma anche ogni tipo di investimento: fu l’allora ad Mimmo Arcuri a dire in uno degli ultimi tavoli al Ministero che Invitalia non poteva aumentare il capitale nella joint venture per non incorrere in danno erariale.
Ora tutto questo viene superato, e il nuovo decreto toglie tutti gli alibi all’azienda per tornare ai livelli produttivi previsti dall’Aia: 6 milioni di tonnellate di produzione. Che questo è finalmente possibile lo dimostra il fatto che il presidente Franco Bernabè, che nonostante le presenze televisive di rado parla in pubblico di Ilva, oggi ha rilasciato una intervista al Corriere della Sera dai toni ottimisti. E spiega appunto come il decreto abbassi tutti gli ostacoli fin qui presenti. Ne resta solo uno: la contrarietà degli enti locali (Pd), che però Bernabè non vede: “Non c'è differenza tra azienda, sindacati e amministrazioni sugli obiettivi finali da realizzare. Ricordo che la grande trasformazione dell'industria chimica, che io ho gestito da ad dell'Eni, poneva problemi più importanti perché tantissimi erano i poli industriali coinvolti. Eppure fu fatta in totale accordo con i sindacati e le amministrazioni locali. Perché non dobbiamo riuscirci anche a Taranto? Bisogna mettersi attorno al tavolo e trovare un accordo: noi a quello convocato per il 19 gennaio dal ministro delle Imprese Adolfo Urso ci saremo. Insieme la soluzione può essere trovata. A meno che veramente non si voglia far chiudere lo stabilimento. Ma questo, sia chiaro, non è l'intendimento dello Stato”.
E’ questo che ancora non hanno capito: Michele Emiliano e il sindaco di Taranto l’hanno detto in tutti i modi che loro la fabbrica la vogliono chiudere. Emiliano l’ultima volta alle mamme di Taranto un mese fa, e il sindaco due giorni fa mentre scriveva una lettera controfirmata dai sindacati.
Area a caldo chiusa e nessuna apertura neppure per il preridotto, che secondo il sindaco di Taranto è solo un’altra fonte inquinante.
Per questo appare incomprensibile come proprio la Uilm, che ha sempre difeso la produzione, possa scendere in piazza l’11 gennaio sotto palazzo Chigi al fianco di Emiliano e il sindaco di Taranto che chiedono la chiusura della fabbrica insieme ad altri soldi per la città da sprecare come in questi giorni stanno facendo con i concertini di Natale pagati con i 20 milioni sequestrati ai Riva e vincolati a progetti sociali per le famiglie disagiate.
La Fim infatti si è dissociata da questo sciopero, sottolineando come non si possa scendere in piazza con chi vuole chiudere la fabbrica.
La discussione che fin qui è stata concentrata sugli assetti societari ha fatto perdere di vista il cuore del problema Ilva, che era e rimane di natura industriale. Ed è legato esclusivamente alla volontà politica di continuare a far essere l’Italia un Paese autonomo nella produzione di acciaio a ciclo integrato.
Se questa volontà c’è, cosi come espressa dal Presidente Meloni, l’unica domanda da fare è quando riparte Afo5.
Solo cosi la produzione potrà aumentare, i lavoratori tornare in fabbrica, e l’azienda tornare in utile.
Altrimenti anche per i prossimi anni continueremo a parlare di riconversioni, cassa integrazione, lavori socialmente utili, idrogeno, acciaio green, prestiti ponte e amministrazioni straordinarie, senza cambiare nulla come negli ultimi dieci anni. Quando l’unica cosa che si è fatta è stato trovare il miglior acciaierie del mondo che ha realizzato il miglior piano ambientale a ciclo integrale del mondo. Abbiamo l’altoforno più grande d’Europa, le cupole che coprono i parchi minerari, i treni nastri coperti, i filtri Meros alle ciminiere, e i polimeri di sintesi (I.Blu) che alimentano gli altoforni. E, da oggi, i soldi e le autorizzazioni per farlo. Franco Bernabe, Lucia Morselli e Adolfo Urso il 19 gennaio devono solo dirci quando.