Ilva, un fallimento ed un costo all'italiana
Il polo siderurgico rischi di essere l'ennesimo esempio della fallimentare politica dello Stato come imprenditore
Quattrocento milioni di euro entro gennaio 2021 e altri 680 prima di maggio 2022. Con un fiche da oltre un miliardo di euro lo Stato italiano torna padrone dell'ex Ilva di Taranto. L'accordo tra la controllata del Mef Invitalia e ArcelorMittal è stato firmato giorni fa e annunciato come la mossa risolutiva per uscire da un brutto pasticcio che si procrastina da un trentennio.
La Stato imprenditore che non funziona
Le cose, però, stanno in maniera diversa e la statalizzazione dell'ex polo siderurgico tarantino rischia di essere l'ennesima inutile emorragia di denaro pubblico come già accaduto per la vicenda Autostrade o per il caso Alitalia realtà che hanno fagocitato ricchezza nazionale per cifre impressionanti.
Prima del 1995, infatti, il quarto polo industriale italiano ero pubblico e l'allora Italsider venne venduta alla famiglia Riva che aveva fatto un'offerta dam 1.649 miliardi di lire. Allora – i dati sono quelli che arrivano dal rapporto "Le privatizzazioni in Italia dal 1992" di R&S Mediobanca - l'indebitamento indotto era pari a 17.408 miliardi di lire che, al netto dei 2.023 miliardi di lire incassati dallo Stato come prezzo finale della vendita, ha portato il debito residuo a 15.385 miliardi di lire.
Questo significa che lo Stato nel 1995 ha venduto perché come soggetto pubblico aveva fallito. Le ragioni della disfatta, secondo gli analisti, sono molteplici, ma la più impattante è stata determinata dall'eccesso di produzione rispetto al bisogno reale del mercato.
I sette anni perduti dell'Ilva
Non sono solo questi, però, i soldi pubblici evaporati a favore del polo siderurgico pugliese visto che il conto più salato è quello che arriva da quelli che vengono definiti i 7 anni perduti dell'Ilva ovvero quelli intercorsi dagli arresti della famiglia Riva e dal sequestro del 26 luglio 2012 fino alla lettera di "recesso" da parte del colosso anglo-indiano ArcelorMittal.
In quei sette anni l'Italia ha perduto qualcosa come 23 miliardi di euro di potenziale ricchezza produttiva che si traducono nell'1,35% del Pil.
Secondo l'aggiornamento dell'analisi econometrica compiuta dalla Svimez per Il Sole 24 Ore, l'impatto sul Pil nazionale per ogni anno di inattività fra il 2013 e il 2018 si può tradurre in una perdita secca compresa fra i 3 e i 4 miliardi di euro, circa due decimi di punto di ricchezza nazionale.
Fiume di denaro mai incassato
Conti alla mano, quindi, dall'inizio della vicenda Ilva, 30 anni fa, l'Italia ha perso almeno 50 miliardi di euro di mancata ricchezza nazionale calcolati e stimati valutando il rapporto tra produzione, vendita e indotto.
A questo denaro non prodotto bisogna aggiungere i costi pubblici che hanno avuto il commissariamento del 2013 e l'Amministrazione straordinaria del 2015.
Oltre 2.200 giorni di Ilva "senza padrone" scanditi durante 5 diversi governi (Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte) che hanno visto susseguirsi 4 commissari (Enrico Bondi, Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi) e un sub commissario (Edo Ronchi) i cui onorari sono costati agli italiani circa 3 milioni di euro.
Un'inchiesta di Corriere della Sera ha valutato che, dal dopo Riva, l'Italia ha perso 3,5 miliardi di euro.
Nel 2015, infatti, il polo siderurgico pugliese ha perso in media 50 milioni al mese (quindi 600 milioni nell'anno); nel 2016 ne ha persi 25 (300 milioni), passati a 30 al mese nel 2017 (360 milioni l'anno) e 25 nei primi otto mesi del 2018 (200 milioni).
In pratica dal 21 gennaio 2015, inizio dell'amministrazione straordinaria, a oggi, l'Ilva ha perso 1,46 miliardi di euro.
A questi vanno aggiunti i soldi persi dall'assegnazione ad Am Investco del 5 giugno 2017 all'accordo con i sindacati del 6 settembre 2018: altri 380 milioni.
Spiega poi Corriere "Se si considera che inizialmente la gara si sarebbe dovuta chiudere a giugno 2016, nel conto dei due anni di ritardo vanno aggiunti altri 330 milioni, che portano il totale a circa 700 milioni. Per gli anni 2012/2014, si può far riferimento ai numeri emersi dalla data room a cui ebbero accesso le aziende che presentarono la prima manifestazione d'interesse: emergono perdite per 2,1 miliardi".
La situazione attuale, però, se possibile, è ancora più paradossale.
AncelorMIttal, che aveva rilevato l'ex Ilva nel 2018 stava adempiendo perfettamente agli obblighi sottoscritti. Oltre al prezzo d'acquisto di 1,8 miliardi di euro, infatti, la cordata anglo indiana aveva disposto investimenti pari a 2,4 miliardi su un periodo di sette anni, di cui 1,25 miliardi per il piano industriale e 1,15 di investimenti ambientali.
La messa in discussione delle scudo penale attuata dall'allora Ministro del Lavoro Luigi Di Maio nel 2018 ha di nuovo bloccato tutto portando AncelorMittal a chiedere la recessione dell'accordo che è costato all'Italia circa 380 milioni di euro cui vanno aggiunti i costi dei ritardi nelle gara appalto il conto arriva a 700 milioni di euro.
Ultimo costo nelle voci di spesa pubblica c'è quello della cassa integrazione degli operai e degli addetti che, a oggi, è costata circa 400 milioni di euro.
Le casse pubbliche, quindi, oggi, invece che concedere fiducia ai privati, tornano ad allentare i cordoni e oltre al miliardo messo sul tavolo per comprare l'ex Ilva da ArcelorMittal si stimano ulteriori uscite pari a 2,1 miliardi in investimenti strutturali: soldi che avrebbe potuto spendere la cordata anglo indiana invece che lo Stato.
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