E dopo l’Imu, ci vuole la riforma del catasto
Gli strumenti per ottenere una distribuzione più equa del carico fiscale sugli immobili ci sono già, basterebbe utilizzarli
La polemica politica nata intorno al pagamento dell’Imu, con richieste pressanti di colpire i soggetti più abbienti, ha rilanciato con forza il tema delle modalità con cui dovrebbe essere versata la tassa sugli immobili. Al momento infatti, considerando gli sviluppi del dibattito parlamentare, è sorta la convinzione che si tratti di una sorta di imposta personale, legata cioè al reddito e al patrimonio del contribuente interessato. In realtà non dovrebbe essere così, e questo mutamento di prospettiva dovrebbe passare da una profonda riforma del catasto che dovrebbe portare ad una più equa distribuzione del carico fiscale dell’imposta sugli immobili.
CATASTO, UNA RIFORMA POSSIBILE
“L’Imu – spiega Alessandro Santoro, economista dell’Università Bicocca di Milano – dovrebbe essere un’imposta reale, commisurata cioè al reale valore del patrimonio immobiliare su cui viene applicata. Il tutto ovviamente prescindendo dal fatto che il possessore del bene in questione sia una persona normale oppure un soggetto molto benestante”. In linea di massima, spiega infatti Santoro, abitazioni molto costose alla fin fine appartengono sempre a contribuenti comunque in condizioni economiche agiate. Pur partendo da queste considerazioni resta però il fatto che al momento esiste un problema pratico nell’assegnare alle singole abitazioni un valore che sia davvero corrispondente a quello di mercato, introducendo così quell’indispensabile elemento di equità che porterebbe tutti a pagare il giusto.
Ci sono infatti evidenti sperequazioni sia all’interno delle stesse città, con immobili nuovi che presentano aliquote catastali in proporzione molto più elevate di case di pregio che si trovano nei centri storici, e sia tra città diverse. “In media è stato calcolato – spiega sempre Santoro – che i valori di mercato risultano almeno due o tre volte superiori a quelli catastali”. Lo Stato però, paradossalmente, avrebbe già tra le mani lo strumento per ovviare a queste discrepanze. “Mi riferisco all’Omi, l’Osservatorio del mercato immobiliare. Si tratta di uno strumento elaborato dall’Agenzia del territorio, confluita ora nell’Agenzia delle entrate, che nel corso degli anni ha creato un database molto aggiornato e puntuale sui reali valori di mercato delle abitazioni in Italia”.
LA LOTTA ALL'EVASIONE PASSA ANCHE DA UN NUOVO CATASTO
Verrebbe da chiedersi allora perché non ci si affidi semplicemente a questo strumento per calcolare gli importi dell’Imu. “Le controindicazioni in realtà sarebbero due – fa notare Santoro -. La prima, che secondo me sarebbe facilmente superabile, è legata al fatto che i valori contenuti nel database si riferiscono solo ad abitazioni residenziali. Resterebbero dunque fuori uffici e capannoni, che dunque dovrebbero sottostare ad un regime fiscale diverso”. Il secondo ostacolo all’utilizzo dell’Omi è invece di natura più politica, e appare per il momento insormontabile. “Se si applicassero, anche gradualmente, i nuovi indici – sottolinea Santoro – una larga fetta di contribuenti si ritroverebbe a pagare molto di più di quanto versa ora, soprattutto se consideriamo la notevole rivalutazione che subirebbero molte delle case di pregio che si trovano nei centri storici delle nostre città”.
SERVICE TAX, OVVERO L'IMU DEL FUTURO
Si tratterebbe dunque di gestire una sorta di malcontento popolare, che nessun politico finora si è sentito in condizione di affrontare. “D’altro canto però – aggiunge l’economista della Bicocca – altri contribuenti avrebbero dei vantaggi, soprattutto quelli che hanno accatastato di recente case nuove, senza contare che ci sarebbe a livello nazionale una redistribuzione del carico fiscale tra le diverse città, che volendo potrebbe avvenire anche a gettito invariato”. Insomma, come a dire che la ricetta ci sarebbe, ma nessuno se la sente di toccare una situazione di fatto, che però comincia a diventare sempre più insostenibile.
Tra l’altro, l’occasione di rimettere mano al catasto potrebbe concretizzarsi a stretto giro, visto che un tale impegno è contenuto nelle legge di delega fiscale in discussione attualmente in Parlamento. E’ solo il caso però di ricordare che, di riforma del catasto, si parla almeno da 50 anni, ma finora mai niente di concreto si è fatto.