Uno sporco lavoro che nessuno vuole fare
L'industria mineraria non è attualmente aspirazionale per i giovani talenti tecnici. Secondo le ricerche, il 70% degli intervistati di età compresa tra 15 e 30 anni ha dichiarato che sicuramente o probabilmente non lavorerebbe nel settore minerario.
Ormai da qualche tempo la percezione che la transizione verso le energie rinnovabili sia nelle mani delle compagnie minerarie comincia a farsi strada anche nell’opinione pubblica. Transizione che dipenderà dalle compagnie minerarie esattamente come l’attuale sistema ne dipende per l’approvvigionamento dei combustibili fossili. Al punto che analizzare concretamente le possibilità che la transizione energetica si realizzi significa misurare le capacità produttive dell’industria mineraria globale.
Tuttavia, la strada verso un Pianeta a basse emissioni è irta di difficoltà e i venti contrari per l’industria mineraria provengono da ogni direzione. Uno dei maggiori ostacoli da superare riguarda la carenza globale di competenze creata da una forza lavoro che invecchia, da alcuni definito uno "tsunami grigio", coniugata ad una scarsa disponibilità di nuovi lavoratori pronti a prenderne il posto.
Il “Green Deal” richiederà di produrre, nei prossimi 20-25 anni, la stessa quantità di rame che è stata prodotta in tutta la storia umana (Il rame e la matematica dei metalli - Energia (rivistaenergia.it)). In compenso l’industria mineraria globale, che non sarà in grado nemmeno di mantenere l’attuale produzione, ammonisce che i loro piani di espansione e crescita saranno vanificati se le attuali tendenze del ricambio generazionale dovessero continuare, soprattutto per quanto riguarda i ruoli altamente qualificati come ingegneri, geologi e analisti di dati.
Secondo il 71% dei principali manager dell’industria mineraria il fallimento del ricambio generazionale impedirà il raggiungimento degli obiettivi di produzione mentre le compagnie minerarie si trovano davanti alle sfide future di estrarre il minerale da depositi con un tenore di metalli sempre più basso ed aumenta la dipendenza globale dalle materie prime che provengono dalla crosta terrestre.
Quello che rende la situazione paradossale è il ruolo del mondo accademico: uno dei motori di questo declino con la contrazione dei programmi relativi all'industria mineraria, dall'ingegneria mineraria alla metallurgia estrattiva. Nel nostro paese, da oltre un ventennio, il corso di laurea in Ingegneria mineraria è stato soppresso dagli ordinamenti universitari statali e gli insegnamenti nel settore estrattivo sono stati drasticamente ridotti.
Ma c’è di più: almeno quattro università del Regno Unito hanno deciso di porre fine a fine a tutti i rapporti con i reclutatori del settore estrattivo spinte da un'appassionata campagna “ambientalista” guidata dagli studenti. Istruiti dalle teorie di Extinction Rebellion secondo cui l’industria mineraria, “guidata dal profitto”, è “responsabile della devastazione ambientale ed ecologica su larga scala nonché di innumerevoli atti di violazione dei diritti umani”
Non c’è niente di nuovo nel fatto che i giganti minerari ritraggono se stessi come istituzioni tecnologiche benigne, che portano modernità e diffusione del progresso ed, anzi, sempre più si accreditano come partner chiave nella transizione “verde”. Compagnie transnazionali multimiliardarie, che affondano le loro radici nelle guerre coloniali del “Nord globale” che grazie anche alle materie prime, fornite proprio da costoro, ha costruito la sua attuale società. Una società fondata sui combustibili fossili che oggi, proprio i giovani di Extinction Rebellion, intendono cambiare alla radice attraverso una “nuova industrializzazione” che si fonda, ancora una volta, sulle materie prime del “Sud globale”.
Oggi abbiamo sviluppato un'economia postindustriale, commerciando sempre più in beni astratti come servizi e informazioni, lasciando al resto del mondo il compito di estrarre, elaborare e trasformare le materie prime in prodotti finiti. Ma per quanto il cuore dell’estrazione mineraria possa essere davvero nero è necessario comprendere questa relazione, per guardare sotto la superficie di un'industria estrattiva che è stata sia immensamente benefica che immensamente distruttiva, perché è qui che dobbiamo tornare se vogliamo comprendere fino in fondo le implicazioni del nostro appetito per i metalli: dalle auto elettriche alle tecnologie eoliche e fotovoltaiche ai computer, alle batterie.
Invece oggi sempre meno studenti vogliono intraprendere una carriera nell’industria estrattiva, proprio a causa dell'immagine negativa del settore che viene identificato con inquinamento, opacità sui diritti umani e sull'uguaglianza di genere. Secondo gli analisti di Mckinsey è da attendersi che questa tendenza continui: l'industria mineraria non è attualmente aspirazionale per i giovani talenti tecnici. Nella sua ricerca il 70% degli intervistati di età compresa tra 15 e 30 anni ha dichiarato che sicuramente o probabilmente non lavorerebbe nel settore minerario.
Fonte: McKinsey
Importanti istituzioni come la Colorado School of Mines o la prestigiosa Camborne School of Mines del Regno Unito vedono un calo degli iscritti che arriva fino ad un terzo rispetto ad un decennio fa. Paesi come il Canada e l'Australia, in cui l’industria mineraria significa un lavoro ben retribuito, hanno visto diminuire le iscrizioni degli studenti ai corsi. In Australia, il numero totale di laureati nelle scienze minerarie è diminuito del 63% nel 2020 rispetto al 2014.
Certo le miniere sono sovente in luoghi remoti dove la carenza di infrastrutture come ospedali o scuole li rende poco compatibili con una realtà familiare. Inoltre è diffusa la percezione che il lavoro sia fisicamente impegnativo e pericoloso con un percorso di crescita professionale limitato o troppo vagamente definito. Esistono sfide significative da superare: l’aumento dell’occupazione femminile spostando la reputazione maschio-centrica del settore verso una più diversificata ed equa che preveda nuovi standard occupazionali inclusivi anche per coloro che si identificano come LGBTQ+.
Ma siamo anche in presenza di una crescente disconnessione tra ciò che i lavoratori vogliono e le aziende propongono: essere una società metallurgica e mineraria con un mix di materie prime in linea con l'evoluzione di un Pianeta in via di decarbonizzazione probabilmente non risulta attrattivo come raccontare che il core business aziendale è l’impegno a “salvare il Pianeta”. Eppure, minerali e metalli sono gli elementi costitutivi di tutto: dalle infrastrutture all'assistenza sanitaria, dalla difesa nazionale alle reti energetiche e digitali, sono ciò che ha permesso all’Europa di diventare quello che è.
Senza metalli è una transizione senza un futuro.