Auto elettrica
(Ansa)
Industria

Auto elettriche, l’equazione che non torna

Se applicheremo le norme Cafe 2025, addio a dieci fabbriche europee

Secondo i massimi esperti in materia di accumulatori d’energia, la tecnologia attuale permette di raggiungere valori di densità energetica pari a 250-270 Watt/ora per ogni chilogrammo di batterie. Contro quella di benzina e diesel che si aggirano sui 12.200-12.700 Wh/kg. Quando a Bruxelles si insediò la prima commissione Ursula, nel luglio 2019, le batterie per auto disponibili sul mercato avevano capacità ancora inferiori, di circa 190-200 Wh/kg. Spiegato così, il confronto è impietoso, salvo considerare che di quella grande quantità di energia potenziale racchiusa nel carburante idrocarburo i nostri motori e mezzi meccanici riescono a sfruttarne al massimo un onorevole 33% contro il 90% d’efficienza di un motore elettrico. In quel momento storico gli ingegneri erano divisi in due grandi gruppi: quelli che non dovevano vendere alcunché e quindi ammettevano candidamente che per arrivare a valori interessanti ci sarebbero voluti almeno 15 anni, e quelli che giocoforza per sostenere investimenti garantivano una rapida evoluzione delle batterie, che oggi onestamente fatichiamo a vedere, seppure esistano sul mercato esempi di maggiore capacità. Ma resta un fatto ineluttabile: se per percorrere cento chilometri in elettrico spostando cinque persone a una velocità accettabile servono mediamente circa 13.000 Watt/ora, nella migliore delle ipotesi bisogna trasportare almeno 48-50 kg di batterie. Mentre in benzina ne basterebbero soltanto 1,6 che sono pari a circa due litri perché la benzina pesa 0.70 kg per litro. Ma a Bruxelles interessava soltanto una cosa: eliminare le emissioni sul suolo dell’Unione, e chi se ne frega se la cura sarebbe stata peggiore della malattia. Peggio, interessava ridurre gli incidenti stradali, ma siccome non potevano investire miliardi di euro nell’educazione degli automobilisti, allora sono stati riservati agli obblighi di installare tanti nuovi dispositivi obbligatori che nessuno si sognava di chiedere, aumentando ancora il peso, la complessità e il costo degli automezzi. Ma quando lo scrivevamo, con tanto di allarmi sull’occupazione e la non sostenibilità di un parco auto elettrificato a tempi di record, venivamo accusati di essere populisti e retrogradi, di non vedere “il disegno del radioso futuro” che qualcuno stava dipingendo per noi. Persino un uomo considerato l’imperatore delle auto ibride, Akio Toyoda, ex numero uno del colosso Toyota, li aveva più volte messi in guardia, ma a Bruxelles in fatto di Watt, chilogrammi ed efficienza, evidentemente pensavano di saperne più di lui. Come stia andando a finire è nelle pagine di cronaca e, peggio, nelle e-mail di licenziamento che stanno spedendo. E ora che il piano di guadagnare di più producendo di meno è saltato, anche i grandi manager dell’automotive fanno la figura dei Pravettoni. Mentre uno dei principali colpevoli del disastro, l’ex commissario europeo per il mercato interno e i servizi Thierry Breton, se l’è svignata e non potremo neppure chiedergli conto. Ora l’Acea, l’associazione dei costruttori europei di automobili, vuole chiedere una revisione al 2027 delle normative Cafe (Corporate Average Fuel Economy), che entrerebbero in vigore nel 2025 e che impongono una riduzione della quota di emissioni di CO2 consentita per le nuove auto del 15% rispetto al 2020. Tenetevi forte: sono decisioni prese con dati del 2016 (quando si sognavano le batterie di nuova generazione in breve tempo), approvate nel 2019 proprio dalla commissione Ursula 1. Ma questo, rispettando le leggi della fisica e quelle del mercato, potrebbe essere possibile soltanto se la quota di auto elettriche circolanti fosse attorno al 22% del totale, cifra ben lontana dal vero poiché la realtà resta tra il 15% delle vetture e il 7% dei furgoni (dati Salesforce). Vuol dire che la Ue dovrebbe tagliare di altri tre milioni di esemplari la produzione di automobili e mezzi commerciali leggeri con motori termici, ovviamente chiudendo una decina di fabbriche e lasciando a casa decine di migliaia di persone. Oppure pagare multe per una cifra vicina a 16 miliardi. Possiamo soltanto scegliere a quale tipo di catastrofe tentare di sopravvivere. Oppure azzerare le norme che non tengono conto delle equazioni.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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