Il processo tecnologico che cattura la CO²
La salute della nostra atmosfera dipende dalla decarbonizzazione. Eni, in Italia e nel mondo, sta realizzando impianti per raccogliere l’anidride carbonica emessa dalle industrie e «stoccarla» nel sottosuolo all’interno di giacimenti esausti.
Nel mare Adriatico, al largo delle coste di Ravenna, c’è una piattaforma della compagnia Eni che funziona al contrario: invece di estrarre gas, inietta nel sottosuolo anidride carbonica all’interno di quello che fino a ieri è stato un giacimento di produzione di gas e che sarà riconvertito per lo stoccaggio della CO2. Il progetto, portato avanti dalla joint venture paritetica Eni e Snam, ha ricevuto l’autorizzazione per la sua fase 1 che prevede la cattura di 25 mila tonnellate di CO2 dalla centrale Eni di trattamento di gas naturale di Casalborsetti (Ravenna). Nel 2027 è previsto l’avvio della fase 2 che consentirà di non immettere in atmosfera circa 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Una volta catturata, la CO2 viene convogliata verso la piattaforma di Porto Corsini Mare Ovest (foto) e infine iniettata nell’omonimo giacimento a gas esaurito, nell’offshore ravennate.
«Oggi più che mai emerge l’esigenza di conciliare obiettivi di decarbonizzazione, sicurezza energetica e competitività, e fare sistema diventa prioritario» spiega l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi che, sull’accordo con Snam, aggiunge: «Questa sinergia rappresenta un esempio di eccellenza per contribuire al percorso di decarbonizzazione del sistema produttivo italiano». Già perché l’obiettivo del progetto (e di altri nel mondo a cui Eni sta lavorando) è ambizioso: contribuire alla decarbonizzazione dei sistemi industriali e contrastare il cambiamento climatico del pianeta. Il processo in linguaggio tecnico viene definito Ccus (Carbon capture utilization and storage). Le tecnologie per realizzarlo, mature e già disponibili, evitano l’emissione in atmosfera di importanti quantità di anidride carbonica, prodotte dalle lavorazioni industriali. Il sesto rapporto dell’Ipcc (Intergovernamental panel climate change delle Nazione Unite) ha dichiarato che, per contenere l’aumento delle temperature a 1.5°C entro la fine del XXI secolo, saranno imprescindibili le tecnologie di cattura e stoccaggio. Le soluzioni messe a punto da Eni servono per decarbonizzare non solo le proprie attività: la società del cane a sei zampe le metterà a disposizione dell’industria italiana e internazionale per contribuire ad abbatterne le emissioni.
In particolare, il processo tecnologico è rivolto ai settori più energivori, i cosiddetti «hard to abate», come le acciaierie, i cementifici, la chimica e così via, per cui non esistono soluzioni tecnologiche altrettanto efficaci ed efficienti.
Ma come funziona questo procedimento virtuoso che ha come obiettivo la salvaguardia dell’atmosfera? La prima fase è quella della cattura, nella quale l’anidride carbonica viene separata dagli altri gas con cui è mescolata, per esempio in seguito a un processo di combustione. Una volta separata, la CO2 viene compressa per permetterne il trasporto, solitamente tramite condotte, ma anche via mare (nave) o via terra (trasporto su gomma o ferroviario). A questo punto l’anidride carbonica può essere utilizzata per usi industriali, come la produzione di materiale cementizio o di biomassa per l’industria alimentare (si definisce Ccu - Carbon capture and utilization); oppure stoccata all’interno di formazioni geologiche sotterranee appositamente selezionate, come i giacimenti di idrocarburi esauriti: in questo caso si parla di Ccs (Carbon capture and storage). L’International Energy Agency (IEA) e l’Ipcc prevedono che nel 2050, a livello globale, sarà necessario catturare dai 6 agli 8 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, in gran parte di origine industriale.
In questo campo Eni è già molto avanti non solo in Italia, ma in tutto il mondo. È partner del progetto Sleipner in Norvegia, che opera fin dal 1996, è stato il primo al mondo dedicato allo stoccaggio geologico dell’anidride carbonica per fini esclusivamente ambientali e sino a oggi ha iniettato nel sottosuolo circa 20 milioni di tonnellate di CO2, corrispondenti alle emissioni annuali di 20 milioni di automobili. Nel Regno Unito Eni è capofila del progetto Hynet North West, dove è l’operatore del trasporto e stoccaggio della CO2 emessa dalle industrie locali. Il piano consentirà la trasformazione di uno dei distretti industriali più energivori ed emissivi britannici, nell’area della Liverpool Bay sulla costa nord-occidentale, in uno dei primi cluster industriali a basse emissioni di anidride carbonica al mondo.
L’elemento chiave sarà la Carbon Capture and Storage. Qui, grazie alla riconversione delle infrastrutture esistenti, nella prima fase - a partire dalla fine del 2025 - verranno catturate e stoccate permanentemente nei giacimenti a gas depletati di Eni 4,5 milioni di tonnellate l’anno di anidride carbonica emessa dalle industrie del nord-ovest dell’Inghilterra e del nord del Galles. Dal 2030 il volume catturato e iniettato arriverà a circa 10 milioni di tonnellate di CO2 per anno, contribuendo per il 30-50 per cento all’obiettivo del Regno Unito di stoccare 20-30 milioni di tonnellate all’anno. Inoltre, sempre in Inghilterra, Eni ha di recente sottoposto una candidatura per ottenere una ulteriore licenza di stoccaggio di anidride carbonica nel giacimento a gas depletato di Hewett, i cui esiti sono attesi alla fine della primavera 2023. Lo scopo è quello di decarbonizzare le emissioni industriali dell’area di Londra e del sud-est del Regno Unito. Sempre all’estero, sono in corso progetti in Libia e Australia, con in valutazione altre iniziative in Egitto e Algeria.