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Industria

Le grandi aziende italiane con rapporti con la Russia (e cosa stanno facendo)

I rapporti commerciali con Mosca valgono 20 miliardi di euro: un tesoro che rischia di essere compromesso dal conflitto ucraino

Non solo gas e petrolio. I rapporti commerciali tra Italia e Russia valgono un giro d’affari da 20 miliardi di euro, un fiume di denaro compromesso dall’escalation del conflitto bellico tra Mosca e Kiev. In Russia ci sono circa 500 aziende italiane prevalentemente nei settori della produzione di energia, acciaio, petrolio e gas, chimica, aeronautica, trasporti, alta tecnologia, agricoltura, banche e assicurazioni. Aziende che, ora, vedono messa in crisi una parte del loro business. A queste si aggiungono – i dati arrivano dall’Istat – le aziende che esportano 7 miliardi di merce l’anno verso Mosca e le altre che importano dalla Russia beni per 12,6 miliardi di euro.

Il Centro Studi di Confindustria stima che il Paese di Putin rappresenti l'1,5% dell'export italiano di beni (rispetto al 2,7% fino al 2014, anno delle prime sanzioni a seguito dell'annessione della Crimea alla Russia), interessando –in maniera più o meno diretta - oltre 11 mila imprese, e il 3% dell'import (5,2% prima del 2014).

Dalla stessa analisi emerge che "la Russia accoglie il 2,4% dello stock italiano di capitali investiti nel mondo. I capitali italiani hanno realizzato 442 sussidiarie che occupano circa 34,7 mila addetti e producono un fatturato pari a 7,4 miliardi di euro, crescendo mediamente del 7,5% negli ultimi sei anni".

Numeri alla mano è evidente come la degenerazione del conflitto tra Russia e Ucraina avrà serie ripercussioni sul business delle aziende nostrane (e non solo) in maniera più o meno diretta. A pesare in primo luogo sarà l’effetto delle pesanti sanzioni che l’Europa ha imposto alla Russia a partire dal blocco delle transazioni finanziarie con l’uscita dal sistema Swift di Mosca. Mentre il rublo è in caduta libera e il paese rischia il default e nonostante la Borsa di Mosca resti chiusa, sul listino di Londra il valore dei titoli dei maggiori gruppi russi – da Gazprom a Sberbank – va a picco avvicinandosi allo zero.

Anche per questo motivo decine di colossi industriali di mezzo mondo hanno già deciso di abbandonare gli affari con la Russia a partire dalla British Petroleum che ha ceduto la sua partecipazione del 20% alla compagnia petrolifera di Stato russa Rosneft per arrivare a multinazionali del calibro di Apple che sospeso le vendite in Russia o la svedese Volvo che ha preso lo stesso indirizzo. In Italia, però, la situazione è più complessa e uscire dal mercato russo di punto in bianco rischia di portare a un conto molto salato per l’economia italiana.

Basti pensare che solo una manciata di giorni fa, il 27 febbraio, 16 CEO di grandi industrie italiane hanno incontrato in video conferenza Vladimir Putin in persona per parlare degli interessi commerciali italiani in Russia. Si tratta di imprese del calibro di Pirelli, Enel, Orcel, Generali Assicurazioni e tante altre. Putin, in quell’occasione, non ha mancato di ricordare ai vertici delle aziende italiane la stretta dipendenza energetica e commerciale che lega Russia e Italia sottolineando che il nostro paese è il terzo partner commerciale di Mosca.

Inoltre oltre 60 aziende italiane sono coinvolte in progetti energetici su larga scala, come l’impianto Yamal LNG e l’Artic LNG 2. I produttori di strumenti ad alta tecnologia italiani sono anche coinvolti nel programma “Vostok Oil” che rappresenta uno dei progetti più grandi nel settore petrolifero che verrà realizzato nei prossimi anni dalla Federazione Russa per un valore pari a circa 173 miliardi di Euro.

Quando l’Unione Sovietica è crollata, le aziende straniere hanno visto enormi opportunità e si sono riversate per comprare, vendere e collaborare con le aziende russe e ora con l’invasione russa della vicina Ucraina bisogna fare i conti con una brusca frenata d’arresto di questo sistema.

Eni, ad esempio, si è sfilata da una importante partnership in Russia. “Per quanto riguarda la partecipazione congiunta e paritaria con Gazprom nel gasdotto Blue Stream (che collega la Russia alla Turchia), Eni intende procedere alla cessione della propria quota”, ha affermato un portavoce del gruppo, precisando anche che “l’attuale presenza di Eni in Russia è marginale. Le joint venture in essere con Rosneft, legate a licenze esplorative nell’area artica, sono già congelate da anni, anche per le sanzioni internazionali imposte a partire dal 2014”. Enel, al momento, opera normalmente ma sta subendo gli effetti delle pesanti sanzioni imposte alla Russia con i listini in caduta libera.

E l’impatto delle sanzioni occidentali si fa sentire pesantissimo anche sui comparti dell’economia russa non direttamente colpiti come quello petrolifero, mentre le maggiori compagnie di shipping fermano il trasporto merci da e per la Russia. L’italiana Msc, primo operatore container al mondo, ha annunciato l’interruzione con effetto immediato di tutte le prenotazioni di trasporto merci da/per la Russia, includendo anche tutte le aree di accesso, tra cui Baltico, Mar Nero ed Estremo Oriente russo.

Ci sono poi le aziende che hanno sedi in Russia e che devono rivedere il proprio plan industriale. E’ il caso di Pirelli che in Russia ha 2 stabilimenti uno a Vronezh e l’altro a Know per un totale del 3% di fatturato determinato dalle imprese russe. Marco Tronchetti Provera, presidente Pirelli, ha dichiarato che la crisi tra Russia e Ucraina (per cui la società ha già pronte azioni di mitigazione degli impatti) potrebbe portare le guidance su redditività e generazione di cassa nella parte bassa del range atteso. Ancora a Kaluga è operativa Stellantis. Il polo industruale ha una capacità di produzione di 125.000 veicoli all’anno ed è utilizzata per realizzare veicoli commerciali leggeri come Peugeot Expert, Opel Vivaro e Citroën Jumpy.

Ci sono poi gli effetti indiretti subiti dalle imprese che importano materie prime da Mosca, come ad esempio il grano. Ogni anno il nostro paese compra dalla Russia 100 milioni di chili di grano che ora non arriveranno più sia per il blocco commerciale sia per i rallentamenti dei collegamenti dovuti al caro carburante. Divella, ad esempio, dal 27 febbraio non ha più notizie dei 30mila quintali di grano tenero destinati all’industria dolciaria italiana. Grano che viene importato dalla Russia e che è bloccato da qualche parte. Molisana ha dovuto chiudere i suoi impianti perché – causa caro carburanti – i trasportatori non erano in grado di consegnare la merce.

Secondo i primi bilanci la guerra tra Russia e Ucraina ha congelato 27 miliardi di interscambio dell’Italia con Russia (21,7 miliardi) e Ucraina (5,4). Da Mosca a Vladivostok, vendiamo moda, mobili e macchinari su tutti. Le micro e piccole imprese soprattutto quelle di Emilia-Romagna, Veneto, Marche coprono il 34,9% del prodotto italiano in Russia. Ammonta 24,7 miliardi la perdita del nostro export negli otto anni seguiti al primo embargo del 2014. In Europa nessuno ha pagato un prezzo più salato di noi sotto questo aspetto e il conflitto in corso potrebbe portare conseguenze ancora più disastrose.

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Barbara Massaro