Carlo Calenda
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Economia

Intervista a Carlo Calenda: "Di Maio fa manfrina, lo sfido sui numeri"

Dal groviglio nella crisi Ilva al temporeggiamento su Alitalia, dalle delocalizzazioni industriali ai provvedimenti per gestire la crisi del lavoro. L'ex ministro dello Sviluppo economico attacca a tutto campo e chiama il governo a quella che per lui è la vera urgenza: tornare alla realtà

Dottor Calenda, lei ex ministro dello Sviluppo economico è tutti i giorni a caccia, metaforica e non, del suo erede Di Maio. Si sente come Achab all'inseguimento di Moby Dick?
Casomai è il contrario.

Lei è Moby Dick?
No. Achab è Di Maio, è il Movimento 5 stelle, che fissa un obiettivo impossibile e poi si danna l'anima per raggiungerlo. Le offro una chiave di lettura per la nostra conversazione sui nodi irrisolti delle crisi italiane che sono ancora aperte.

La balena bianca chi è?
È la realtà. La dura realtà con cui il confronto è inevitabile e drammatico, se ne sottovaluti la forza. Moby Dick è la realtà con la sua forza barbara. È la resistenza passiva al cambiamento che in questo Paese, se non hai la forza di decidere, finisce sempre per travolgerti.

Lei spera che Moby Dick tiri a fondo Di Maio?
No, spero che Di Maio faccia i conti con la realtà sennò andiamo a fondo tutti. Su Ilva, Alitalia e Tap, come vedrà, il rischio è molto concreto.

Cominciamo: l'Ilva.
Il vicepremier è andato in parlamento a dire che la gara dell'Ilva è viziata.

Non doveva?
No, ovviamente: lo fa sulla base di un parere dell'Anac che dice testualmente di non aver potuto fare un'istruttoria e di aver solo risposto a tre domande del ministro che neanche si conoscono. Aggiungo che proprio Cantone ha detto pubblicamente che utilizzare il suo parere per annullare la gara sarebbe sbagliato. Tuttavia, supponiamo per un attimo il caso che Di Maio abbia ragione e che la gara sia viziata.

È quello che lui dice.
Se fosse davvero così, perché il ministro continua a fare riunioni con il vincitore di una gara viziata e irregolare? Sarebbe gravissimo.

Cosa gli rimprovera?
O Di Maio ha dichiarato il falso in parlamento sostenendo che la gara è viziata, e allora si capisce perché negozia con Mittal. O è incoerente quando negozia e dovrebbe rapidamente annullare la gara. Terzo non è dato. Temporeggiare, in questo momento, significa perdere un milione di euro al giorno di soldi dei contribuenti e ritardare gli investimenti ambientali e industriali. Con forti rischi per ambiente e sicurezza.

Lei faceva una ipotesi dell'assurdo, ma è certo che la gara sia stata regolare.
La gara è regolarissima: peraltro monitorata dalla Commissione europea che l'ha giudicata un esempio di trasparenza e correttezza. Dei tre rilievi dell'Anac, l'unico rilevante riguarda la non accettazione di rilanci da parte dell'altra cordata a gara chiusa. Ma all'epoca proprio su questo punto chiesi un parere dell'Avvocatura che escludeva questa possibilità e mi metteva in guardia sul rischio di annullare la gara.

Perché?
Perché avremmo dovuto ricominciare da capo, spendendo altri 300 milioni di euro, e perché ci saremmo esposti ad un contenzioso da parte di Mittal. Cosa che puntualmente avverrà se Di Maio sceglierà questa strada. Un contenzioso che potrebbe costare 4 miliardi di soldi pubblici. Ricordo inoltre che Jindal l'industriale indiano perno dell'altra cordata è stato portato a investire nelle acciaierie di Piombino con un lavoro difficilissimo che però rilancerà un altro polo industriale importante.

Ma allora quale sarebbe, secondo lei, l'obiettivo di Di Maio?
Non scegliere. Temporeggiare. Eludere i problemi. Non ha il coraggio di dire cosa vuole fare. Ha preso un'impegno con i suoi elettori per chiudere Ilva e ora si rende conto di cosa vorrebbe dire. Sta cercando un modo di farlo dire a qualcun altro. All'Anac prima e all'Avvocatura dello Stato, a cui a chiesto un nuovo parere, ora. Spero che l'Avvocatura sappia tenere la schiena dritta ed eviti di smentire il suo precedente parere che ho reso pubblico a scanso di equivoci.

Di Maio dice che lui non chiude perché vuole più rassicurazioni ambientali rispetto a quelle contenute nell'accordo.
Sul piano ambientale Mittal ha già concesso moltissimo dopo l'aggiudicazione.

Dopo, discutendo con il ministero quando c'era lei?
Sì. Tutte le modifiche migliorative per lo Stato e a carico del vincitore sono ovviamente possibili, perché non avrebbero cambiato l'esito della gara.

Di cosa parliamo?
Di elementi decisivi: anticipo nella copertura dei parchi minerari, che in accordo con Mittal abbiamo già iniziato a febbraio usando i soldi sequestrati ai Riva. L'anticipo della maggior parte del piano ambientale dal 2023 al 2020. Impegno sul fronte occupazionale, ad assumere diecimila dipendenti, tenendo conto dell'anzianità retributiva. L'ultima proposta portata ai sindacati prevedeva in più 1.500 lavoratori assorbiti da una società di servizi creata dall'amministrazione straordinaria che lavorerà con Mittal su manutenzioni, servizi accessori e bonifiche. Per tutti ci sarebbe stata una garanzia formale e vincolante di lavoro a tempo indeterminato.

E gli esuberi che rimanevano?
L'esodo volontario più incentivato di ogni crisi industriale: sette anni di cassa più 100 mila euro di indennizzo. Non lasciavamo a terra nessuno. Ma se cade l'accordo salta tutto. E questa è esattamente Moby Dick.

Sembra arrabbiato.
Sì, perché si mette a rischio la più grande acciaieria d'Europa e il più grande impianto industriale del Mezzogiorno. Un investitore che mette sul piatto 4,2 miliardi. Ed era tutto fatto, bastava percorrere l'ultimo metro. Di Maio aveva un gol a porta vuota. Spero che alla fine la pianti con questa ammuina e capisca che conviene anche a lui segnarlo. Intanto la balena bianca colpisce un altro investimento che nulla costa allo Stato, la Tap.

Di Maio e la Lezzi dicono: l'opera va fermata per rischi ambientali.
Siamo in mano all'ignoranza e all'irrazionalità. Un tubo di meno di un metro di diametro che passa otto metri sotto la costa. E questi irresponsabili parlano di rischi oncologici. E quando accendiamo il fornello del gas? Vogliono decarbonizzare l'Ilva, ma non vogliono il gas, che è fondamentale come energia di transizione anche per raggiungere l'obiettivo che abbiamo inserito nella Strategia energetica nazionale di eliminare la produzione elettrica a carbone entro il 2025.

Lei sostiene che i nuovi ministri sono matti? Mi pare semplicistico.
Non matti. Incapaci. Quando deve amministrare il M5s non riesce a scegliere: e così si trasforma in una macchina di diffusione di cazzeggio mediatico, confusione e proclami con l'unico obiettivo di nascondere questa difficoltà.

Lei voleva anche salvare la produzione della Panda, proponendo a Fca un accordo per mantenere la produzione a Pomigliano.
E si può ancora fare, ma è un cammino molto stretto.

Ora che non c'è Marchionne bisogna convincere Mike Manley.
Si deve innanzitutto fare con Fca un confronto sugli impegni produttivi presi, e non ancora mantenuti. Il documento è pronto al Mise. Si può proporre un taglio del costo del lavoro e delle spese energetiche limitato all'impianto. Una proposta teoricamente contraria alla normativa sugli aiuti di Stato ma che va fatta approvare sulla base del fatto che è una delocalizzazione interna dell'Unione. Questo scandalo dei Paesi est europei che rubano lavoro e investimenti sulla base del combinato disposto di costi sociali inferiori, vagonate di fondi strutturali e partecipazione al mercato unico deve finire.

Ma perché Fca dovrebbe preferire questa via, rispetto agli incentivi che già ottiene per gli stabilimenti polacchi e serbi?
Perché la struttura articolata e solida del nostro sistema di ammortizzatori è più adatta e flessibile per gestire i picchi e i rallentamenti di produzione che sono tipici dell'industria dell'auto.

Nel decreto Dignità c'è una norma anti-delocalizzazione.
(Sorride) Ridicola. Di Maio continua a dire: "Da quando sono entrato al ministero ci sono state tre delocalizzazioni, perciò ho fatto il decreto". Peccato che del decreto non abbiano salvata una sola norma. Ed è evidente perché la restituzione dei fondi pubblici era già prevista, mentre aggiungere una penale del 200 per cento fa solo in modo che le imprese non usino l'incentivo neanche per reindustrializzare.

Forse Di Maio le risponderebbe: e tu cosa hai fatto con le crisi che hai gestito?
Ne abbiamo risolte 83 e salvato 100 mila posti di lavoro: Alcoa, Embraco, Ideal standard, Piombino. Ci siamo confrontati con la realtà, trovando le soluzioni.

Facciamo un altro test. Danilo Toninelli dice che il governo gialloblù vuole rinazionalizzare Alitalia.
Vede che anche qui riappare la coda di Moby Dick? Vorrei conoscere l'investitore che accetterà di stare in minoranza con Toninelli in maggioranza.

Impossibile fare una compagnia di bandiera?
Ci sono trecento problemi. La massa critica in primo luogo. Fatica a reggere la competizione con le "low cost" persino Lufthansa che è sei volte più grande per dimensioni. Poi i nuovi investimenti , per un miliardo, che devi fare a condizioni di mercato altrimenti l'Europa non te lo consentirebbe. Attenzione: abbiamo lasciato l'azienda con il prestito ponte intatto per essere restituito dopo la vendita. L'aumento del prezzo del petrolio rischia di creare una voragine nei conti.

E con lei cosa sarebbe accaduto?
L'unica cosa possibile. Avremmo venduto ai tedeschi dopo un negoziato duro sulle rotte e sul personale. E sarebbe accaduto quello che è successo con Swiss Air, che adesso fa più traffico di quando c'è stata l'acquisizione della compagnia. Inoltre Lufthansa avrebbe fatto di Fiumicino il suo hub di riferimento verso il Sud.

Anche lei, però, ha incontrato molte volte Moby Dick, nei suoi anni di governo.
Siamo un Paese dove è forte la sfiducia nello Stato. Dove i collanti sociali e civici sono allentati, se non compromessi. Siamo alla fine di un ciclo storico.

Quale?
Quello dei progressisti post '89. Della narrazione motivazionale sul futuro e del passo indietro della politica rispetto all'economia. Il risultato è che il mondo è diventato più prospero e l'Occidente più povero. Un miliardo di persone sono uscite dalla povertà nei paesi in via di sviluppo ma in Occidente abbiamo meno mobilità sociale, analfabetismo funzionale alle stelle, diseguaglianze al massimo storico. Il risultato è che lo stesso impianto delle democrazie liberali è oggi a rischio. In Italia siamo stati investiti da questa enorme onda di riflusso.

Forse perché siete apparsi meno credibili dei sovranisti e dei gialloblù.
Non credo. Abbiamo fatto cose valide. Aumentato i posti di lavoro, anche quelli a tempo indeterminato, diminuito la disoccupazione giovanile e femminile, rilanciato gli investimenti privati con impresa 4.0, ridotto il deficit e fatto ripartire la crescita. Potevamo fare di più, ad esempio rendendo il taglio del costo del lavoro strutturale, invece di usare le risorse per gli 80 euro. Ma abbiamo lavorato bene e contemporaneamente perso il contatto con il Paese. Non è la prima volta.

Il cuneo fiscale lo ha annuncato Di Maio, però.
Qui mi arrabbio con voi.

Noi giornalisti?
Ma certo! Di Maio ha detto che lo finanzia con 300 milioni.

Per coprire i costi fino alla manovra d'autunno.
Balle! Con 300 milioni di euro ci si comprano i bruscolini! Un taglio del cuneo del 10 per cento costa 20 miliardi di euro.

Esclude che si trovino queste risorse?
Vede che si ritorna sempre ai conti con la realtà? Io escludo che si possano trovare il soldi per il cuneo, poi quelli per dissinnescare la clausole Iva, poi quelli per fare quota cento sulle pensioni, poi quelli per attivare il primo scaglione della flat tax, e il reddito di cittadinanza. A meno di non mandare il Paese in default. E purtroppo credo che il rischio ci sia anche senza follie nella manovra.

Si è pentito di aver preso la tessera del Pd il giorno dopo la sconfitta?
No. È stato un gesto istintivo, perché volevo - e voglio - dare un contributo ad uscire da questo pantano pericolosissimo. Ma bisogna superare il Pd e costruire un fronte molto più ampio. E soprattutto ripensare il ruolo dei progressisti in una fase molto più dura e difficile. Per la prima volta nella storia i tempi della rivoluzione industriale e tecnologica sono così rapidi che rischiamo di essere travolti dalla velocità delle innovazioni.

Il suo manifesto, a tratti, ha anche toni vagamente millenaristi.
Guardi, questi sono i dati: entro dieci anni il 20 per cento dei lavori spariranno. Ne nasceranno di nuovi ma non contemporaneamente. Dovremmo gestire un processo di trasformazione gigantesco. I progressisti devono tornare ad assumere come prospettiva la crescita della società. Per schematizzare: un liberista ha come obiettivo la crescita dell'economia, un nazionalista il mantenimento dell'identità, un progressista la forza della società. Questo non vuol dire non considerare la crescita un fatto necessario, ma non sufficiente, o l'identità poco importante ma per un progressista anche l'identità evolve. La verità è che per 30 anni abbiamo smesso di pensare e ci siamo affidati completamente alla meccanica del mercato e dell'innovazione. Dobbiamo tornare a potenziare l'uomo oltre che la tecnica.

Ha una parola d'ordine per la sinistra, con cui contendere i consensi a Lega e 5 Stelle?
La dico e la ripeto da mesi: le parole chiave sono "proteggere" e "investire": se questo governo continua a inseguire la balena bianca il rischio di naufragio diventa certezza.


(Articolo pubblicato sul n° 33 di Panorama in edicola dal 2 agosto 2018 con il titolo "Di Maio fa manfrina lo sfido sui numeri")

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Luca Telese