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Irap, ecco quando i professionisti non pagano

La Cassazione, con due sentenze, ha cercato di chiarire i limiti del concetto di attività autonomamente organizzata

Nuovo importante chiarimento da parte della Corte di Cassazione riguardo l’annosa questione del pagamento dell’Irap da parte di professionisti, artisti e piccoli imprenditori. Il problema, che si trascina ormai da anni, nasce tutto dall’interpretazione, a dire il vero alquanto complicata, del testo di legge risalente addirittura al 1997, nel quale a un certo punto si chiarisce che il presupposto per il pagamento dell’imposta debba essere l’abituale esercizio di “una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”. Ebbene, è proprio sul concetto di autonoma organizzazione, o meglio ancora su quello ancora più specifico di “organizzazione”, che da tempo professionisti e fisco si scontrano per decidere se la tassa in questione sia dovuta o meno. Quali dovrebbero essere infatti gli elementi che fanno supporre che siamo di fronte ad un’attività professionale organizzata?

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È questo il dilemma che, come detto, da anni arrovella tanti piccoli lavoratori autonomi, che per il semplice fatto di avere anche un solo semplice collaboratore oppure un ufficio particolarmente attrezzato, si sono visti chiamati a pagare l’imposta in questione. Sulla vicenda ora arriva però il giudizio decisivo e incontrovertibile della Suprema Corte che con due sentenze, che potremmo definire esemplari, dovrebbe sgombrare finalmente il campo da tanti dubbi e perplessità. La prima sentenza riguarda un ingegnere che si era visto costretto a pagare l’Irap perché proprietario di uno studio professionale ritenuto attrezzato a tal punto da lasciar evincere, secondo l’interpretazione del fisco, che fossimo di fronte appunto ad una struttura “organizzata”.

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Ebbene, la Corte di Cassazione ha dato ragione al professionista, precisando che per avere una decisa rilevanza sul reddito, la struttura in questione debba essere esterna allo studio del professionista. Senza considerare che in ogni caso lo studio in questione è stato considerato dagli stessi giudici supremi di minima consistenza. Morale della favola: l’ingegnere è stato esentato dal pagamento dell’Irap, e questa sentenza potrà fare scuola per tanti altri professionisti nelle stesse condizioni. Di analogo tenore una seconda sentenza che invece ha preso in considerazione il caso di un medico che si era visto contestare ai fini Irap la presenza della segretaria incaricata di rispondere al telefono.

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In questo caso, in linea anche con una precedente sentenza dello stesso tipo emessa nel maggio di quest’anno, la Suprema Corte ha ribadito in pratica che è “necessario superare una soglia minimale esente di lavoro con apporto mediato e generico, per mansioni di segreteria o genericamente esecutive”. In pratica, il supporto che può dare il lavoro di una semplice segretaria, non può considerarsi tale da presupporre l‘esistenza di un’organizzazione, e dunque anche in questo caso, il medico è stato esentato dal pagamento dell’imposta in questione. Risulta evidente come anche in questo episodio, siamo di fronte ad una vicenda che potrà essere sfruttata in tante altre vertenze fiscali, per dirimere il conflitto tra fisco e professionisti, con questi ultimi che ora avranno qualche ragione in più da far valere per evitare il pagamento di una tassa quanto mai discussa.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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