Jobs Act
(Ansa)
Economia

La fine del Jobs Act, nato male, finito peggio

Si va verso l'abrogazione di una legge voluta da Renzi, votata dal Pd e che oggi gli stessi dem oggi contestano

Jobs Act “si” o “no”. È di queste settimane l’intenzione della Cgil di istituire un referendum abrogativo sulla nota legge sul lavoro.

La legge in questione ebbe i natali una decina di fa, quando al governo si trovava Matteo Renzi e, al suo fianco, c’era il ministro del lavoro Giulano Poletti, in allora area Pd... Cosa partorì? Quanto alle tutele in caso di licenziamento illegittimo, la divisione dei lavoratori in due categorie ovvero quelli assunti “prima del 7.3.2015” e quelli assunti “dopo il 7.3.2015”. Ai primi – “i vecchi” –, le tutele del già depotenziato “art. 18” (la norma che, dopo la sua “fornerizzazione”, a fronte di un licenziamento contrario alle disposizioni di legge in un’azienda con più di 15 dipendenti, sanciva il diritto del lavoratore alla sua “reintegra” sul posto di lavoro soltanto in casi limite o, in alternativa, gli accordava un risarcimento variabile fra le n. 12 / 24 mensilita’ di retribuzione). Ai secondi – “i giovani” –, a parità di condizioni del loro datore di lavoro in termini occupazionali, un solo indennizzo economico parametrato all’anzianità di servizio (laddove, all’atto pratico, licenziare illegittimamente un giovane lavoratore dopo qualche anno dalla sua assunzione sarebbe costato al datore di lavoro l’equivalente di poche mensilità di retribuzione).

Che il “jobs act” fosse – diciamo così – discutibile, ne abbiamo preso atto tutti quanti ed in primis la corte costituzionale, la quale, dopo l’entrata in vigore della legge, ha dovuto “metterci mano” in diverse occasioni, correggendone la portata, e – va da se’ – bacchettando gli “inventori” del testo legislativo.

Innanzi alla proposta referendaria della Cgil, tuttavia, vien da domandarsi quale potrebbe essere il punto d’arrivo di un eventuale “salto all’indietro”.

La risposta, barcamendandosi nel rimettere ordine al frastagliato quadro di leggi sul lavoro degli ultimi vent’anni (… si è perso il conto!) è la seguente : torneremmo – per chi lavora in un’azienda con più di 15 dipendenti e dovesse contestare la legittimità di un licenziamento subito – al citato “art. 18”, come detto già “depotenziato” dalla “legge Fornero”, ma con “il particolare”, non esattamente secondario, che tale ultima legge, con riguardo alla forma processuale che aveva favorito una trattazione “accelerata” delle cause di licenziamento, oggi non c’è più, e questo grazie alla recentissima “legge Cartabia”.

Verrebbe dunque ad abolirsi una legge mal congegnata (che di “moderno” … “jobs act” … ha avuto soltanto il nome in inglese e per la quale il giudizio di “inidoneità” non è dello scrivente bensì della consulta), ma l’”art. 18” tornerebbe a scontare le tempistiche di un processo del lavoro, per quanto riguarda le cause di licenziamento, privato dell’“urgenza”.

In altre parole, potrebbe tornarsi (eccezion fatta che per qualche ufficio adeguato negli organici e perfettamente funzionante nelle modalità) a cause su licenziamenti destinate alla fisiologica durata media dei 2 anni (in primo grado) con il forte dubbio che le tutele “accordande”, nella realtà, vengano nuovamente a scontare un fattore di cui poco si è parlato (e poco, in concreto, si affronta): la durata delle controversie.

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Redazione Panorama