La Green Economy dopo il Coronavirus
L'occasione è di quelle uniche per sfruttare la pandemia come trampolino di lancio reale di un nuovo modo di fare economia. Ma gli ostacoli restano
Non tutto il male viene per nuocere, si dice, ed effettivamente il coronavirus ci ha messo di fronte alla natura che riemerge nella forzata solitudine delle nostre città regalandoci un'aria pulita che avevamo dimenticato. Dal punto di vista ecologico questa esperienza ha dimostrato che il sistema economico non può più esimersi dal ridisegnare il proprio approccio con il pianeta.
L'avvocato Carlo Montella - partner del californiano Studio Orrik e Global Deputy Business Unit Leader del dipartimento Energy & Infrastructure – cittadino del mondo in tema di energie rinnovabili e professionalmente a contatto con il polso della green-economy tra Los Angeles, Milano, Londra e Shangai, è uno dei pochi in grado di raccontarci, la direzione che l'attuale pandemia potrebbe far prendere all'annosa questione della 'transazione energetica' delle economie sviluppate.
«Il negazionismo ambientale, anche se era già stato smentito da tesi scientifiche e dati empirici, ha ricevuto un duro colpo da questa pandemia – conferma Montella - che, avendo determinato la chiusura di larga parte delle attività produttive e dei trasporti, sta regalando aria pulita anche in zone che da decenni non registravano dati positivi. Tuttavia bisogna essere realisti. Se possiamo affermare con certezza che l'attuale assetto economico-industriale è obsoleto è altrettanto vero che il paradigma della 'decrescita felice' è un concetto profondamente astratto e poco praticabile».
Non condivide quel modello?
«La decrescita felice ha un suo perché come concetto filosofico e riesce a colpire le coscienze, eppure mi spaventa. Sacrificare il superfluo per privilegiare l'essenziale implica, inevitabilmente, l'assunzione a monte di un 'decisore politico' chiamato a determinare ciò che serve da ciò che invece non serve, ciò che gratifica da ciò che dona solo una sensazione effimera di benessere. L'umanità ha lottato nei secoli per la libertà dell'individuo e non bisogna spendere molte parole per sostenere l'importanza che così deve rimanere».
Quindi che fare?
«L'unica soluzione per raggiungere un'economia sostenibile è applicare un altro modello: quello della 'crescita felice'. In altri termini, senza rinunciare ai vantaggi del progresso, tutto andrebbe pensato, ingegnerizzato, prodotto, trasportato, consumato e riciclato sempre e soltanto in modo sostenibile. Innanzitutto, andrebbero velocizzati i tempi della transizione energetica verso la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, attribuendo solo al gas il ruolo di tecnologia di transizione per i prossimi 10/15 anni; realizzate infrastrutture digitali in grado di dialogare con un assetto produttivo rinnovabile, quindi, per definizione intermittente e non programmabile. Poi, bisognerebbe rivoluzionare al più presto il modo di concepire gli spostamenti: oggi si parla spesso di 'mobilità elettrica' intendendo, erroneamente, soltanto il rinnovo del parco macchine con modelli ibridi od elettrici, mentre si dovrebbe agire sull'elettrificazione dell'intero settore dei trasporti (pubblici e privati) e delle relative infrastrutture. Un altro passo fondamentale, e per di più raggiungibile in tempi relativamente brevi, è la cosiddetta 'economia circolare' - un sistema in cui quasi tutto si recupera riducendo al minimo ogni tipologia di rifiuto – che oltre ad offrire un'opportunità unica di crescita economica per l'intero sistema, stimolerebbe comportamenti sostenibili da parte con una ricaduta immediatamente percepibile nella vita di tutti i giorni. Contemporaneamente si potrebbe stimolare la conversione dell'intero processo produttivo delle aziende nel segno della sostenibilità riconoscendo loro il rating di sostenibilità - oltre al rating di bilancio - quale criterio per beneficiare di finanziamenti. Inevitabilmente si creerebbe un circuito virtuoso verso soluzioni di prodotto e di servizi sempre più sostenibili e tecnologicamente avanzati».
Si tratta di una vera riconversione su larga scala. L'Italia è in grado di assorbire un tale cambiamento?
In tale contesto non esistono posizioni di vantaggio e l'Italia ha un potenziale di assoluto rilievo avendo già un'importante quota di energia elettrica da fonti rinnovabili e condizioni naturali privilegiate (acqua, sole e vento). Anche nel campo dell'innovazione tecnologica e digitale (che caratterizzerà le infrastrutture di prossima generazione) potrebbe giocarsela alla pari con altri paesi. Va detto, poi, che gli investimenti necessari per realizzare questo modello sarebbero in gran parte di natura privata e la quota parte di investimenti/contributi pubblici non inciderebbe sulla base di calcolo del deficit, trattandosi di investimenti 'verdi' che rientrano nel cosiddetto 'new green deal'».
Chi manovra il timone di questo cambiamento?
«Centrare questo obiettivo per l'Italia significherebbe non solo ridare impulso alla ripresa economica ed occupazionale nel segno della sostenibilità, ma anche permetterebbe di iniziare un percorso di l'autosufficienza energetica: un fattore chiave per avere peso in Europa. Superata la pandemia gli equilibri geopolitici cambieranno più rapidamente di quanto si pensi. L'Italia, per essere in grado di cogliere l'opportunità della transizione energetica che attraverserà le economie più sviluppate - a danno dei paesi produttori di gas e petrolio - e dopo questa pandemia sarà ancora più di prima al centro delle agende politiche di molti paesi, deve dotarsi di una cabina di regia - auspicabilmente di matrice governativa – che sia in grado di coordinare i soggetti pubblici, assicurandone coordinamento e convergenza di obiettivi, per trasmettere affidabilità al mercato e poter attrarre i capitali privati necessari, oggi particolarmente interessati al settore».
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