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FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images
Economia

Scioperi e diritti dei lavoratori: cosa sta cambiando, spiegato bene

Amazon, Ryanair, Ikea: perché è in discussione la fase del lavoro a buon mercato, della concorrenza al ribasso e della precarietà

Michael O’Leary non ha ascoltato la conferenza stampa di Mario Draghi, giovedì 14 dicembre, l’ultima dell’anno. Male, perché il patron di Ryanair che parla come un vecchio padrone delle ferriere, avrebbe forse capito che un ciclo si sta chiudendo.

La Bce lamenta che i salari non crescono, nonostante la ripresa. Ciò è un guaio non solo per i lavoratori, ma per l’economia nel suo insieme, perché i prezzi restano troppo schiacciati verso il basso e l’attività produttiva non si sviluppa come dovrebbe.

Non è la prima volta che la Banca centrale europea lo dice; anzi, è diventata una lamentela pressoché costante, tanto che Draghi è arrivato a invitare apertamente i sindacati a farsi sentire. Davvero inusuale dopo dieci anni di schiacciamento verso il basso delle paghe e almeno vent’anni di riduzione della quota di valore aggiunto che va al fattore lavoro.

Amazon, Ikea, Ryanair come la Ford

Ma proprio per questo risalta con maggior forza il segnale che è finita la fase della quale O’Leary è il campione: la fase del lavoro a buon mercato grazie ai paesi a basso costo e all’aumento della disoccupazione, la fase della concorrenza al ribasso e della precarietà.

Ciò non vuol dire che si sia già innescato un nuovo ciclo, forse staremo a lungo sospesi tra il vecchio e il nuovo, ma lo sciopero delle compagnie low cost, così come i conflitti che scoppiano come una sorta di reazione a catena in alcune icone dell’economia “liquida”, da Amazon a Ikea, dimostrano che si è aperto uno scontro tra diritti del lavoro ed esigenze dell’economia. E quando questo accade non promette mai nulla di buono.

O’Leary, Jeff Bezos o la famiglia Kamprad che gestisce la Ikea fondata da Ingvar il vecchio tirchio miliardario, sostengono che se cambiano le condizioni di impiego del lavoro, quelle dei piloti così come quelle dei fattorini, il loro modello di business va a carte quarantotto. Par di sentire Henry Ford secondo il quale c’era un solo un modo di fare l’automobile, il suo. Poi è arrivato Kiichiro Toyoda e ha mandato in soffitta la catena di montaggio.

Il nuovo equilibrio da trovare

Oggi nella economia dei servizi sta succedendo qualcosa di molto simile a quel che abbiamo già visto nel mondo della manifattura.

O’Leary aveva rottamato le vecchie compagnie di bandiera, tronfie e costose, ha fatto il corsaro dei cieli, ha portato milioni di persone per pochi soldi nelle parti più disparate, è diventato grande, un colosso, adesso vuole essere un protagonista anche nelle lunghe distanze, ma senza cambiare il modo in cui funziona la sua impresa. E questo si rivela impossibile.

Qualcosa del genere accade anche ad Amazon, il gigante dell’e-commerce. Entrambi scoprono che il fordismo più il precariato creano una miscela esplosiva soprattutto se applicata alla megastruttura di una multinazionale. Prima se ne rendono conto prima potranno avviare quella transizione che sta ormai maturando nei fatti.

Trovare un nuovo equilibrio tra economia e diritti non è semplice. Anche perché bisogna tener conto non solo delle esigenze dei lavoratori e degli imprenditori, ma anche, anzi soprattutto, dei consumatori.

Cosa accadrà

La chiusura corporativa o il ritorno alle pratiche di un sindacalismo novecentesco sono due strade entrambe nocive che danneggiano la società nel suo insieme. Tutti sono disposti a pagare di più per volare meglio e nella massima sicurezza, ma non per ripristinare privilegi antichi e decisamente iniqui. Tutti possono attendere anche un giorno di più prima di ricevere la propria ordinazione, ma non di tornare alle infinite attese come ai tempi delle poste di stato.

Non è facile capire che cosa accadrà. Seguendo le orme della manifattura si potrebbe dire che il futuro nella grande distribuzione si chiama robot. Le macchine assorbiranno i lavori più gravosi, Amazon ha già cominciato a usare i droni.

Intanto la rivoluzione digitale trasformerà l’intero processo e questo vale anche per Ikea, i suoi rapporti con i fornitori e i clienti. Ciò distruggerà posti di lavoro? Non è detto, certo cancellerà certe mansioni e ne creerà altre.

Il saldo complessivo dipende dalla salute dell’azienda e dall’andamento della economia nel suo insieme. Più difficile individuare nel trasporto aereo una terza via tra il modello low cost e quello della compagnia di bandiera.

Ma combinare i fattori di produzione nel modo migliore è esattamente il mestiere dell’imprenditore. E anche O’Leary dovrebbe affrontare questa crisi, cioè questa metamorfosi, senza isteria e con quell’immaginazione che finora non gli è mai mancata.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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