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RAVEENDRAN/AFP/GettyImages
Economia

L'impatto economico della censura di internet

Due miliardi e quattrocento milioni di dollari persi in appena dodici mesi

L'Istituto Brookings di Washington è uno dei più prestigiosi think-tank del mondo. I suoi ambiti di ricerca spaziano dall'economia alla politica e dalle relazioni internazionali alla scienza della comunicazione. Un recentissimo rapporto del Brookings, curato dal suo Vice Presidente Darrell M. West, ha affrontato il delicato tema dell'impatto economico delle misure di censura di internet. La questione è diventata di attualità quando alcuni regimi hanno bloccato, in tutto o in parte, l'accesso alla rete per impedire ad oppositori o dimostranti di sfruttarne le potenzialità per organizzare le proprie attività o per diffondere i propri programmi politici.

L'impatto economico della censura

Le conclusioni? Tutti i Paesi che hanno scelto la censura hanno pagato un prezzo in termini economici, perché hanno perduto tutte le opportunità di sviluppo offerte dal digitale, seppur per periodi limitati di tempo. Secondo West, il totale delle perdite ammonta a ben due miliardi e quattrocento milioni di dollari nei dodici mesi tra luglio 2015 e giugno 2016.

I paesi che censurano di più

A pagare la quota più alta di questa astronomica bolletta è stata l'India, che, secondo la ricerca, avrebbe perso l'equivalente di 968 milioni di dollari. Quasi un miliardo, sottratto a un Paese che avrebbe bisogno di tutte le risorse a disposizione per crescere e alleviare le condizioni drammatiche di povertà che affliggono una grande percentuale della popolazione. I motivi di una simile bolletta sono sostanzialmente due: da un lato, in India i giorni in cui la rete è stata bloccata sono stati settanta, moltissimi anche in relazione a quanto avvenuto in regimi non democratici; dall'altro, per il Paese l'economia digitale riveste un ruolo particolarmente importante, visto che contribuisce al PIL per il 5,6%. A indurre il governo di New Delhi a bloccare internet, peraltro, è stata prevalentemente l'intenzione di impedire che gli studenti imbrogliassero agli esami – anche se alcuni provvedimenti sono stati presi per contenere i moti di protesta di febbraio.

Intenti diversi hanno avuto, invece, altri Paesi che hanno registrato perdite elevate. Dopo l'India, i costi maggiori sono infatti stati sostenuti dall'Arabia Saudita, che ha rinunciato alla bellezza di 465 milioni per aver bloccato una serie di strumenti di VoIP e messaggistica istantanea con l'intento di proteggere le compagnie telefoniche nazionali da una concorrenza considerata sleale (e, probabilmente, per tenere sotto controllo i dissidenti).  320 milioni sono stati i costi per il Marocco, che ha bloccato gli stessi sistemi di comunicazione per ben 222 giornate; 209 per l'Iraq, 72 per il Congo, 69 per Pakistan e Bangladesh. Colpiscono i 109 milioni perduti dal Brasile: una perdita secca, causata dalla decisione di un giudice della remota regione del Sergipe, che ha deciso di bloccare Whatsapp con un provvedimento non motivato.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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