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(Getty Images)
Economia

La corsa al litio non avrà vincitori

Il Cile decide di nazionalizzare l'industria legata al ricercatissimo minerale scombinando i piani delle nazioni straniere

Il giovane presidente del Cile, Gabriel Boric ha annunciato giovedì scorso che il suo governo nazionalizzerà l'industria del litio del paese. Quindi Boric ci riprova con il litio dopo che la nazionalizzazione dell’industria del rame non gli era riuscita. L’anno scorso aveva tentato, con il suo Gabinetto, un mix di giovani riformatori e tecnocrati, di imporre una nuova costituzione che, tra le varie riforme, prevedeva di penalizzare tutte le compagnie minerarie private presenti in Cile obbligandole a corrispondere nuove ed esose royalties sul rame.

La sua proposta di una nuova Costituzione è stata respinta a larga maggioranza dagli stessi cileni, consci che le riforme minerarie e fiscali, proposte dal Presidente, se da un lato tendevano lodevolmente a rafforzare la normativa ambientale, dall’altro apportavano profonde modifiche all’economia di mercato del Paese, un’economia ancora dipendente dal settore minerario.

Anche al momento, i risultati ottenuti da Boric non sono dei migliori: oltre al crollo delle azioni delle due principali compagnie minerarie che operano nel settore del litio in Cile, Albemarle Corporation e SQM, Società Chimica e Mineraria di Cile, l’annuncio ha congelato i prossimi investimenti privati nel litio cileno fino a quando non saranno rilasciati ulteriori dettagli e le aziende riterranno affidabili la stabilità e le metodologie della futura partnership pubblico-privato.

Secondo il presidente di Ivanhoe Mines, il miliardario Robert Friedland, "Il denaro è un codardo e scappa al primo segno di difficoltà". Spiegando così che l'annuncio di Boric è visto criticamente dagli investitori internazionali e renderà più difficile il loro ingresso in Cile. E’ facilmente intuibile come la mossa dell’esecutivo cileno minerà la reputazione del paese, oggi ritenuto uno dei luoghi più sicuri per gli investitori stranieri in America Latina.

Paradossalmente gli esiti delle scelte di Boric potrebbero dare nuovo impulso alla ricerca di nuove fonti di litio in altri paesi, in un momento, quello attuale, in cui la maggior parte delle case automobilistiche è alla ricerca di un portafoglio diversificato di forniture del metallo bianco: nazionalizzare l’industria del litio renderà altre regioni più attraenti per i loro investimenti.

D’altra parte anche se oggi una tonnellata di litio per batterie viene venduta a circa 30.000 dollari, rispetto al picco di novembre di 85.000 dollari, i costi di produzione sono in un intervallo compreso tra i 9.000 ed i 10.000 dollari per tonnellata. Questo significa che l'estrazione del litio è ancora molto redditizia per i produttori e con una marginalità tale da motivare gli operatori del settore, grandi e piccoli, a sviluppare nuovi progetti.

Da tempo si parla di una sorta di “Opec del litio” poiché l'annuncio del Cile arriva sulla scia di una nazionalizzazione simile in Messico l'anno scorso. Ma soprattutto nel contesto del tentativo di creare un'associazione regionale, basata sul metallo bianco, con Argentina e Bolivia: i tre paesi costituiscono il "Triangolo del litio" dove si trova il 65% delle risorse di litio conosciute al mondo.

Ma la santa trinità del capitalismo, nel 2023, si fonda su: maggiore produzione, maggiori profitti e migliori credenziali ESG. E Boric, alla ricerca di maggiori profitti, rischia di perdere di vista gli altri due. Perché la maggior produzione è legata alle tecnologie delle compagnie minerarie private ed il prossimo problema sono le credenziali ESG di cui il litio cileno non sembra provvisto.

Oggi il litio vive, ancora, un momento di mercato eccezionalmente favorevole e la situazione suggerirebbe di accantonare le ideologie per cogliere le opportunità economiche negoziando maggiori profitti, ossia royalties per lo stato cileno, senza iniziare un lungo, costoso ed incerto percorso lungo la strada del protezionismo.

Perché? Perché tempus fugit, ed i produttori di batterie, a partire dal colosso cinese CATL, stanno già guardando verso nuove materie prime per le batterie del futuro. Presto verranno commercializzate le batterie agli ioni di sodio (SIBs) e per quanto le informazioni disponibili sulle loro credenziali ESG siano ancora limitate e sia ancora difficile quantificare i loro impatti ambientali dal punto di vista del ciclo di vita è evidente il potenziale insito nella loro adozione di massa.

A favore delle batterie agli ioni di sodio pesa l'abbondanza dei materiali catodici utilizzati: la crosta terrestre contiene 23.600 parti per milione (ppm) di sodio contro le 20 del litio, il che rende il sodio un elemento più semplice reperibilità. Che ci porta al secondo aspetto: la differenza di prezzo tra i precursori del litio e del sodio. Il prezzo di mercato dell'idrossido di litio, utilizzato nelle batterie agli ioni di litio, era di circa 75.000 dollari per tonnellata all'inizio del 2023, a differenza dei 900 dollari per tonnellata dell'idrossido di sodio.

Per quanto la densità energetica delle SIBs sia inferiore, ma comunque competitiva rispetto alle LIBs, è evidente la loro assoluta convenienza negli impianti di accumulo di stoccaggio energetico in batteria, BESS (Battery Energy Storage System). La tecnologia SIB presenta elevate capacità di ciclaggio, cioè il numero dei cicli di carico e scarico che definiscono la longevità delle batterie. Nettamente superiore a quelle attualmente disponibili basate sulla chimica del nichel, NCM, o del ferro-fosfato, LFP.

Ma a far pendere l’ago della bilancia a favore delle batterie agli ioni di sodio saranno le loro migliori credenziali ESG. Le batterie saranno progressivamente soggette a normative più severe per quanto riguarda il loro impatto sul cambiamento climatico. Con l’obbligo di informazioni digitali aggiuntive e di dati misurabili sul contenuto degli elementi riciclati oltre ad opportuni requisiti di due diligence. A spingere in questa direzione i sommi sacerdoti della sostenibilità della Commissione europea sarà l’opinione pubblica, più che il loro zelo, che vorrà prima o poi concretamente conoscere il reale contenuto delle batterie delle auto “ecologiche”.

La valutazione del ciclo di vita (LCA) diventerà lo strumento di riferimento per valutare gli impatti ambientali durante l'intero ciclo di vita delle batterie, dall'estrazione al riciclo delle materie prime, allo smaltimento. Uscendo dall’ambito controverso degli “studi” accademici ma diventando obbligo di divulgazione da parte delle aziende produttrici. Oggi si fanno aspre battaglie sull’etichettatura ambientale, spesso per beni del valore di pochi euro: è lecito attendersi che la batteria di un’auto elettrica, il cui valore supera facilmente i 10.000 euro, contenga un’estesa documentazione che ne certifichi la provenienza e le caratteristiche dei lotti produttivi.

Le normative sono indipendenti dalla chimica delle celle e pertanto, le batterie agli ioni di litio saranno sottoposte alla valutazione comparativa dell'impatto sul cambiamento climatico con quello delle batterie agli ioni di sodio. Se l'impatto sul cambiamento climatico di queste batterie è di fondamentale importanza, come ci sentiamo quotidianamente ripetere, presto sentiremo parlare molto più frequentemente, e magari in termini scientificamente più rigorosi, di impatti ambientali come l'esaurimento delle risorse non rinnovabili, l'acidificazione delle risorse idriche e gli effetti sulla salute umana per l'assorbimento di sostanze cancerogene, e non cancerogene, dovuti alle attività estrattive.

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Giovanni Brussato