La vera perla dell’ostrica
Al di là delle facili ironie, la proposta del ministro Francesco Lollobrigida per abbassare l’Iva su questi bivalvi - dal 22 per cento al 10 - ha una precisa ragione imprenditoriale. Favorirebbe lo sviluppo di allevamenti nazionali di una risorsa marina che nel nostro Paese ha straordinari esempi, e potrebbe rispondere a un mercato in forte crescita
È il rebus dell’ostrica: bene di lusso o piatto popolare? Il ministro della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida è stato chiaro: bisogna smetterla di considerare le conchiglie da cui nasce Venere (non a caso l’allevamento dei bivalvi è detto venericoltura) come un gioiello da ipertassare. Vuole portare l’Iva sulle ostriche al dieci per cento. Insomma bisogna farla finita con il luogo comune, assai profittevole per i francesi, che ostriche e Champagne siano la quintessenza della voluttà e del lusso. Non fosse stato per Henri de Toulouse -Lautrec e le sue danseuses del Moulin Rouge non se ne sarebbe accorto nessuno.
Su Lollobrigida si è scatenata l’ironia della sinistra gauche caviar - tra ostriche e uova di storione c’è sempre stata rivalità - che accusa il ministro di preoccuparsi di fare sconti solo a chi può pagare. La dose di sfottò si è incrementata quando Lollobrigida – su iniziativa del senatore ferrarese di Fratelli d’Italia Alberto Balboni - ha organizzato in Senato una degustazione di conchiglie allevate nella sacca di Goro, dunque nel Delta del Po, in abbinamento con brut rosé rigorosamente italiano per dimostrare che continuare a tassarle al 22 per cento di Iva significa svilire una risorsa importante per l’Italia. Chi ha fatto dell’ironia su un problema serissimo stavolta ha sbagliato e ha avuto la memoria corta. Antonio Misiani responsabile economico del Pd ha scritto su X: «Meno male che in questi tempi cupi è ricomparso il ministro Lollobrigida con il suo (involontario) umorismo. Il popolo ha fame? Abbassiamo l’Iva sulle ostriche!». Italia Viva ha fatto eco: «Se non hanno più pane che mangino ostriche!». Un’ironia che appare fuori luogo e fuori tempo, visto che emendamenti alle varie leggi di bilancio per abbassare l’Iva sulle ostriche li hanno presentati quest’anno la deputata del Pd Nadia Romeo, nel 2017 l’intero gruppo dem in commissione bilancio, nel 2023 Raffaella Patia di Italia viva. La ragione è semplice: le ostriche sono una potenziale, forte ricchezza per il Paese. Abbassare l’Iva «costerebbe» al massimo duecentomila euro a fronte di 60 milioni di euro di possibile nuovo mercato. Il ministro Lollobrigida ha messo in evidenza anche un altro importantissimo fattore: riconvertire parte degli allevamenti di cozze e vongole in ostricari mette al riparo gli operatori dal flagello del granchio blu che non le attacca, mentre banchetta negli allevamenti di mitili. Già in Sardegna si è avuto un esempio virtuoso di riconversione. Le mitiche cozze di Olbia e Golfo Aranci, cent’anni di storia di allevamento, sono minacciate dall’innalzamento della temperatura dell’acqua e dalla proliferazione delle alghe. I pescatori hanno riconvertito le cozze in ostricoltura e hanno avuto un successo notevole. Anche perché gli italiani hanno inventato una nuova tecnologia di allevamento.
I francesi per produrre le loro Gillardeau, Bélon, Fines de Claires hanno sfruttato le maree che lasciano per alcune ore le conchiglie all’asciutto: è indispensabile per far «ingrassare» le ostriche.
Gli italiani non avendo il moto d’acqua dell’Atlantico lo simulano tenendo all’asciutto i bivalvi per alcune ore al giorno. E hanno ottenuto risultati di qualità superiore. Ci sono le ostriche rosa allevate nella sacca di Goro e in quelle degli Scardovari che stanno spopolando, ci sono altre «rosa» allevate nel lago di Lesina e di Varano (laghi salati) che hanno dato nuova prospettiva alla mitilicoltura della Puglia. E ora c’è una novità assoluta, che è vecchia però di 24 secoli. Sono le ostriche d’oro. Le allevavano gli imperatori romani e ora sempre nella sacca di Goro sul Po in Emilia-Romagna la cooperativa Sant’Antonio di Gorino, dopo dieci anni di sperimentazione, è riuscita a produrre le Golden Oyster che non hanno rivali al mondo sfruttando le acque dolci-salate del Delta.
Sostiene Paolo Tiozzo - vicepresidente di Confcooperative Fedagripesca: raggruppa i maggiori produttori - che l’ostricoltura è il futuro. Nel mondo il 20 per cento della produzione di conchiglie è fatto da ostriche, si prevede che nel 2050 sarà almeno la metà della produzione perché l’ostrica è la più consumata: oltre sei milioni di tonnellate all’anno secondo i dati Fao. «In Italia» spiega Tozzo «si consumano oggi diecimila tonnellate di ostriche, ma il 97 per cento arriva dalla Francia (oltre metà del mercato) dall’Olanda, dalla Spagna, dal Portogallo e dall’ Irlanda». In Italia, sostiene Fedagripesca, con settemila chilometri di coste e puntando su queste specificità, l’ostrica rosa e quella d’oro, c’è uno spazio produttivo e commerciale enorme visto che oggi si alleva solo in Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Liguria e Puglia. Tiozzo conferma: «Si può giungere in fretta a 60 milioni di euro di fatturato: basta un produttore ogni marineria che allevi 50 quintali all’anno per arrivare a quel traguardo, soddisfare il mercato italiano e puntare all’esportazione». Lo facevano già gli antichi romani, ma in esenzione Iva.