Macron: l'outsider italiana nel mercato delle maglie da calcio
L'azienda di Bologna è diventata il quarto marchio tecnico del mondo Uefa. Con un fatturato arricchito anche da rugby e altri sport
C’è un’eccellenza tutta italiana anche nel ricco mercato delle maglie da calcio, capace di scalare la classifica facendosi largo tra i “big” del settore: è la Macron, fondata nell’ormai lontano 1971 a Bologna e cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni (passando dai 10,5 milioni di euro di fatturato del 2004 ai 79 milioni del 2015) fino a diventare il quarto più importante marchio tecnico del football europeo. A certificarlo è l’ultimo report dell’Uefa che, incrociando tutta una serie di dati relativi alla fornitura a club e federazioni, oltre che alle sponsorizzazioni in atto con le squadre e negli stadi delle 16 maggiori leghe continentali, pone appunto la Macron immediatamente alle spalle dei colossi Adidas, Nike e Puma.
Ma non solo sui campi da calcio si sta facendo largo da outsider l’azienda emiliana, controllata dal 2011 dal fondo Consilium: già apprezzatissimo sponsor tecnico della Scozia del rugby, la Macron è infatti in procinto di porre il suo logo anche sulle maglie del XV azzurro, aggiungendo così un’ulteriore tappa vincente a quel percorso di crescita nel mondo dell’abbigliamento tecnico-sportivo che Gianluca Pavanello, bolognese di nascita e ad del gruppo dal 2004, quando fu “richiamato” sotto le Due Torri dopo esperienze a Londra e Milano, ha indirizzato e seguito in prima persona.
“Il punto di svolta”, racconta a Panorama.it lo stesso Pavanello, “è stata la partnership con il Napoli, durata sei anni (ovvero l’equivalente di due contratti triennali) e rivelatasi fondamentale per far conoscere il nostro marchio a livello internazionale. Anche se siamo particolarmente legati al Bologna calcio, con cui abbiamo iniziato la nostra avventura nel calcio e con il quale abbiamo da poco siglato un rinnovo che ci porterà a tagliare il traguardo dei vent’anni di collaborazione, è indubbio che i risultati ottenuti dal club partenopeo con il nostro nome sulle maglie ci hanno dato quella visibilità internazionale che ci ha poi permesso di siglare accordi con tanti altri importanti protagonisti dei principali campionati europei”.
Quali sono a suo avviso i vostri punti di forza, quelli che vi consentono di duellare con i grandi loghi dello sport mondiale?
“Attualmente forniamo il materiale tecnico a oltre 50 club di alto livello tra calcio, rugby, basket e volley in diversi Paesi europei, e credo che tutti ci abbiano scelto perché sappiamo offrire un servizio estremamente personalizzato. Noi non abbiamo un’unica collezione che poi andiamo a declinare con i colori della singola società, ma al contrario sviluppiamo una specifica linea per ogni squadra, proprio come farebbe una casa di moda. Allo stesso tempo, in presenza di una fan-base particolarmente interessata al merchandising della squadra del cuore, siamo in grado di estendere la produzione ben oltre il materiale tecnico: è accaduto a suo tempo con il Napoli (con la collezione che era arrivata a contare più di 150 articoli per uomo, donna e bambino) e sta ad esempio avvenendo ora nel rugby con la Scozia, anche se a livello di fornitura tecnica si tratta di uno sport con esigenze produttive diverse”.
Fare una maglia da rugby non è insomma come farne una da calcio?
“Per certi versi è assai più complicato. Nel rugby, dove tra l’altro ci viene riconosciuta una fortissima competenza di prodotto, la tecnologia sui materiali è molto più avanti, perché le nuove maglie devono combinare la resistenza con una vestibilità che renda più difficile afferrarle all’avversario, senza però perdere in elasticità e comfort. Il tutto senza dimenticare l’estetica, come dimostra l’inserto in tartan che abbiamo studiato sempre per la maglia della Scozia”.
Calcio, rugby o altro, nasce davvero sempre tutto a Bologna?
“Il disegno, lo sviluppo e i test di controllo sui prodotti di ogni collezione vengono fatti nella nostra sede, dove operano circa 100 persone. Dopo di che la realizzazione su scala industriale avviene in Asia, ma anche in stabilimenti di Bulgaria, Portogallo e Turchia. A livello nazionale abbiamo poi un’altra quarantina di persone impiegata nei magazzini, una trentina di agenti di vendita e circa 150 assunti nei nostri 35 store monomarca in Italia, ai quali se ne aggiungono altri 80 in tutta Europa”.
Quali sono i mercati che guardate con maggiore attenzione?
“Quello del Regno Unito è per noi particolarmente interessante: sia perché c’è una forte tendenza da parte dei tifosi ad acquistare il merchandising della propria squadra sia perché lì abbiamo attive diverse interessanti sponsorizzazioni nel calcio come nel rugby, che da quelle parti muove volumi d’affari importanti. Ma naturalmente guardiamo anche a tutti gli altri principali mercati europei: dopo Spagna, Francia e ovviamente Italia, di recente abbiamo ad esempio messo un piede in Germania, siglando accordi nel calcio con la Union Berlin e il Monaco 1860, oltre che con la nota società di basket del Bamberg, protagonista anche in Eurolega”.
Scorrendo la lista dei club in maglia Macron, pur tra tanti nomi importanti, salta all’occhio l’assenza di un vero top-club come invece accaduto in passato con il Napoli: una scelta voluta oppure obbligata?
“Diciamo che la risposta sta nel mezzo. Abbiamo un ufficio di ormai rodata esperienza dedicato alle sponsorizzazioni e se il mercato offre un’opportunità di peso, cerchiamo sempre di verificare la possibilità di sfruttarla. E anche se è vero che al momento non abbiamo più un top-club assoluto, è altrettanto vero che abbiamo diversi club conosciuti che ci danno importanza e visibilità a livello internazionale, con un portafoglio equilibrato e meglio distribuito nei diversi Paesi. Cito ad esempio Crystal Palace e Stoke City in Premier League; il Nizza di Balotelli in Ligue 1; Bologna, Lazio e Cagliari in Serie A e ancora lo Sporting Lisbona, che con il Benfica è la squadra con più seguito in Portogallo. Senza contare alcuni club dell’Est, come l’Honved Budapest e l’Hajduk Spalato, che fanno parte della storia del calcio”.
Una vostra unicità è invece la sponsorizzazione dello stadio del Bolton…
“Sì, siamo stati il primo e al momento unico marchio sportivo a decidere di dare il proprio nome a un impianto, ovvero il Macron Stadium di Horwich. E anche se ora il Bolton gioca nella terza serie inglese, a metà degli otto anni di contratto si è rivelata una scelta azzeccata dal punto dell’immagine, perché ha fatto parlare di noi persino molto più di tante altre iniziative economicamente più impegnative. Anche se poi conta soprattutto la pubblicità che ci viene dai rapporti duraturi instaurati con alcuni club: ogni rinnovo è infatti la dimostrazione che sei stato capace di mantenere le promesse fatte, di avere quell’attenzione alle esigenze del singolo club che fa poi la differenza in termini assoluti e si rivela il tuo miglior biglietto da visita”.
Anche a livello di sport amatoriale?
“Lo dimostra il fatto che più della metà del nostro fatturato arriva dal vestire con kit completi e sempre personalizzati migliaia e migliaia di club dilettantistici”.
A proposito di fatturati, il fondo Consilium ha deciso di realizzare i profitti conseguenti al vostro “boom” degli ultimi anni vendendo la sua quota di maggioranza: che scenari vede per il futuro?
“Credo che la nostra strategia di mercato sia ormai ben tracciata e secondo logiche di successo: vogliamo continuare a crescere come azienda tecnica e pensiamo di poterlo fare anche con altri compagni di viaggio dal punto di vista finanziario. Come si dice nello sport: squadra che vince non si cambia. Anche se si può sempre migliorarne il gioco”.