Riforma pensioni, le ipotesi in campo con il nuovo governo
Quota 41, opzione uomo e modalità di taglio dell'assegno: Giorgia Meloni dovrà affrontare in fretta uno dei nodi più delicati della politica sociale. Con una certezza: la legge Fornero non piace a nessuno
L’agenda è chiara e le priorità sono evidenti. Non appena il campanello che sancirà l’avvio della nuova legislatura verrà suonato non ci sarà un minuto da perdere. Uno dei primi fascicoli sul tavolo del Governo sarà quello relativo alle pensioni, un cantiere eternamente aperto nel quale le differenti maggioranze hanno avuto modo di perdere notti insonni cercando soluzioni mai pienamente soddisfacenti. Quel che è certo è che il ritorno della Legge Fornero non lo vuole nessuno.
Vecchiaia secca a 67 anni e nessuno scalone fa paura a politica, economia e sistema sociale. Il problema è che con la fine del 2022 esce per sempre di scena Quota 102 e finiscono anche Ape Sociale e Opzione donna; quindi la prospettiva è quella di un ritorno secco della Fornero se non si arriva a un accordo prima. Le ipotesi sul tavolo ci sono e la maggioranza sembrerebbe avere le idee piuttosto chiare sull’antidoto alla Fornero da approvare entro dicembre. Si parla di 4 strade da poter percorrere
Quota 41
La Lega da sempre spinge sul reintegro di Quota 41, ovvero il pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall'età. Si tratta di un’idea che non convince del tutto l’Inps per la sua sostenibilità economica, ma che piace ai sindacati. Secondo l’istituto di previdenza il rincaro sulle casse dell’erario sarebbe di 4 miliardi per il primo anno per arrivare a quasi 10 a regime.
Opzione uomo
Piace molto di più a Inps l’idea portata avanti sin dalla campagna elettorale da Fratelli d'Italia con la premier in pectore Giorgia Meloni che, assieme a tutto il centrodestra, punta non solo a prolungare Opzione donna (l'uscita a 58 anni, 59 se lavoratrici autonome, e 35 di versamenti con il ricalcolo contributivo dell'assegno) ma a renderla strutturale estendendola anche agli uomini. L’età anagrafica dei lavoratori si dovrebbe alzare a 61-62 anni.
Il nodo del ricalcolo contributivo
Il questo caso l’unico ostacolo sarebbe quello del ricalcolo contributivo che porterebbe a una riduzione dell’assegno di una percentuale oscillante tra il 13 e il 31% e quindi sarebbe di forte disincentivo alla sua accetazione. Si tratterebbe, però, di una strada praticabile e non particolarmente dispendiosa che permetterebbe alla maggioranza di rispettare le promesse elettorali.
Uscite con 62 anni di età e 35 di contributi, ma con penalità
Tra le quattro ipotesi c'è anche quella della famosa “flessibilità di uscita” per consentire le uscite con un minimo di 62 anni e 35 di versamenti prevedendo penalità della fetta retributiva dell'assegno prima del raggiungimento dei 66 anni (fino a un massimo dell'8%) e “premi” sopra questa soglia. C’è poi da considerare la promessa berlusconiana di alzare le minime che non potrà essere ignorata dalla maggioranza pena la perdita di credibilità.
Ape sociale e Opzione donna
Visti i tempi stretti una delle strade che potrebbe percorrere la maggioranza potrebbe essere quella di prorogare, per il momento, sia Ape Sociale sia Opzione Donna al fine di evitare il ritorno alla Fornero per poi prendere in mano il pacchetto pensioni in un secondo tempo dopo un accurato confronto di maggioranza.
Il nodo delle coperture
In tutta questo il nuovo esecutivo dovrà fare i conti con le casse dello stato. Si calcola infatti che la spesa per pensioni nel 2023 salirà a 320,8 miliardi dai 297,3 di quest’anno che poi passeranno a 338,3 nel 2024 e a 349,8 nel 2025. Vale a dire 50 miliardi in più in tre anni. Questo significa che nel 2025 la spesa per le pensioni arriverà al 17,6% del Pil.